Il CENDIC e la politica SIAE del „Taglia che è rosso“. La rubrica di Enrico Bernard

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Sul tetto di un chiosco di cocomeri del litorale romano campeggia un’allettante scritta: TAGLIA CHE E’ ROSSO. Mi fermo di ritorno dalla spiaggia per una rinfrescata prima di andare a pranzo. E abbocco all’invito. Una fetta dopo l’altra mi riempio di ottimo cocomero sollecitato dal furbo cocomeraro: „e con questo, hai pure pranzato, che vuoi di più?„

Cosa voglio di più lo scopro quando mi presenta il conto. Non ho effettivamente pranzato, mi sta giá venendo fame, il cocomero riempie ma é tutta acqua e dura poco; poi per le quattro sottilette rosse spendo una fortuna, quasi quanto mi sarebbe costato un fritto di pesce e un bicchiere di vino al ristorante. Morale della favola, mi sento turlupinato.
La stessa cosa mi é accaduta qualche giorno fa quando dai colleghi del CENDIC, di cui mi onoro di far parte, arriva la festosa comunicazione che mi fa subito pensare alla strategia del TAGLIA CHE E’ ROSSO: la SIAE ha trovato un accordo per una copertura assicurativa di categoria per gli iscritti e mandatari con una società di Mutuo Soccorso: il premio è stato concordato e parrebbe conveniente per coloro che intedono dotarsi – a spese loro comunque – di qualche sicurezza in più nella vita.
Sulle prime comprendo e apprezzo il tono, non trionfalistico ma certo di soddisfazione, del presidente del CENDIC, l’amica Maria Letizia Compatangelo: si tratta di una piccola ma significativa conquista, un primo riconoscimento della necessità di creare una qualche forma di aiuto e previdenza agevolata agli autori.
Poi però mi fermo a riflettere: come sarebbe a dire „primo riconoscimento“? Allora mi sovviene la storia dei tagli e delle riduzioni, nonché degli aumenti tariffari che gli autori teatrali iscritti alla Siae, i cosiddetti „parenti poveri“ della sezione DOR, hanno dovuto subire negli ultimi anni.
Tanto per cominciare fino a due anni fa gli autori che avevano maturato diritti nell’anno solare godevano gratuitamente di una copertura assicurativa infortunistica o in caso di interventi. E siamo al primo TAGLIA CHE E’ ROSSO: tagliano il benefit e poi dicono che é diventato un benefit il fatto di pagarselo da soli, d’accordo a tariffa convenzionata e concordata, ma sempre di tasca propria: grazie tante! Personalmente non mi sono fatto fare i conti in base all’etá e relativi parametri, ma in Svizzera – dove vivo e la sanitá é privata – per l’assistenza sanitaria completa, comprensiva di ricoveri in superospedali con vista sul Cervino, pago 190 Euro al mese. E il sistema funziona come un orologio. Li sfido a fare meglio.
Ma questo é solo il primo passo di una serie di tagli e rincari che colpiscono gli autori.
Parliamo per esempio dall’abolizione del Fondo di Solidarietá che garantiva agli autori, raggiunta una modesta dimensione professionale, di accedere ad un altrettanto modesto vitalizio che fungeva in diversi casi da Legge Bacchelli. Sarebbe stato forse opportuno mettersi d’accordo per limitare la concessione dell’emolumento a quegli autori che per motivo di reddito ne avessero effettivamente bisogno. Invece si é fatto ricorso sulla base del „diritto acquisito“ piuttosto che sull’“obbligo alla solidarietá“. Risultato: la Siae ora concede, ma solo per salvare le apparenze, quasi niente a quasi nessuno, mentre invece doveva essere indotta a riconoscere magari poco ai non pochi effettivamente bisognosi.
La terza fase del TAGLIA CHE E’ ROSSO ha di fatto azzerato il potere decisionale e contrattuale degli autori di teatro nelle elezioni delle cariche sociali. Stabilendo il concetto de „1 Euro 1 voto“ in sostituzione de „1 autore 1 voto“ si é annullata la capacitá elettiva degli autori di teatro, i quali essendo notoriamente di gran lunga piú poveri dei colleghi delle altre sezioni, soprattutto la musica, sono di fatto ininfluenti o emarginati nelle fasi decisionali.
La quarta fase del TAGLIA CHE E’ ROSSO si e’ avverata con l’aumento della quota di iscrizione annuale che naturalmente colpisce ancora una volta gli autori di teatro, sempre „i parenti poveri“. Recentemente sono passato alla SUISA, la societá degli autori svizzera, e nessuno mi ha mai chiesto una tassa di iscrizione. Se lavoro pago con una quota dei diritti, se non lavoro non pago – mi sembra piú che giusto. Non so come funzioni nelle altre societá, ma la quota annuale ha senso ed é giustificata se ridotta a pochi spicci. L’aumento, un raddoppio, improvviso trasforma la piccola spesa in una pesante gabella. Soprattutto se ritorna poco o nulla dalla spesa.
A questo proposito mi si dirá che peró la Siae fornisce dei servizi, proprio come il cocomeraio del chiosco che sostiene, bontá sua!, che col suo cocomero posso lavarmi anche la faccia. Allora mi chiedo: il cocomero che sto mangiando é fresco e sugoso o vecchio e farinoso?
La Siae, passando dallo scherzo del cocomero al serio della situazione attuale, mi assicura una promozione congrua delle mie opere poste sotto tutela? Come e dove sono investiti i fondi del 10% derivanti dalla copia privata (fonte Virginia Capozzi de „Il fatto quotidiano“) che la società dovrebbe obbligatoriamente investire nella promozione? Purtroppo finora non ho percepito alcun impegno, alcun sostegno, alcuna promozione delle mie opere affidate. Forse qualcuno ne sa di più?
Per quanto riguarda poi la tutela e il controllo ognuno ha molte storie da raccontare sul progressivo allentamento della „difesa dell’autore“. So solo che in caso di contenzioso Io Autore non riceverò dalla società assistenza legale, che per depositare un’opera Olaf devo, pur da iscritto alla sezione, pagare un ulteriore obolo a due cifre con scadenza quinquennale. Che non posso decidere di rappresentarmi da solo un mio testo senza innescare un vorticoso giro di tassazione tra ritenuta d’acconto e Iva – argomento quello dell’Iva sul diritto d’autore sul quale tornerò – che mi costringe a far fronte a costi ingiustificati: che fo, pago tasse per pagarmi da solo?
Del resto l’incomprensibile ridimensionamento, speriamo di non dover parlare di chiusura, della Biblioteca Teatrale del Burcardo, istituzione fondamentale per la diffusione del teatro italiano non solo contemporaneo nel mondo, elimina ogni dubbio al proposito. L’autore di teatro é sempre piú abbandonato a se stesso, come un franceschiniano ramo secco da tagliare Il capocomico Campese de „L’arte della commedia“ di Eduardo lo aveva predetto giá mezzo secolo fa. E ammettiamolo pure con Campese: qualcosa che fa paura nell’aria ci sta!
Basta del resto farsi un giro nei corridoi del primo piano della DOR del palazzone della Siae in viale della Letteratura per rendersi conto dell’atmosfera di disagio, avvilimento, scoramento del personale e di alcuni funzionari e dirigenti in gamba che prima pompavano dinamismo e creativitá nelle strutture al servizio dell’Autore e che ora non vedono l’ora di andare in pensione prima di essere tagliati anche loro nell’ottica del TAGLIA CHE E’ ROSSO.
Mi limito a questi pochi esempi, anche se di episodi di nervosismo nei confronti di noi peones del teatro ce ne sarebbero da raccontare. A partire dalla totale indifferenza della Societá degli autori nei confronti della mia Enciclopedia degli autori in fase di riedizione con la SIAD (pure sotto sfratto dopo 60 anni di collaborazione): un progetto trentennale, quello dell’Enciclopedia, che é stato per anni il fiore all’occhiello delle prestigiose e illuminate presidenze, da Conte a Vlad e Bideri. Tagliamo corto: ci sarebbe proprio da „incazzarsi“ come giustamente invocava pittorescamente qualche tempo fa ad un convegno della Siad l’amico e collega Angelo Longoni!
Purtroppo non sappiamo reagire se non come faccio io davanti ad una fetta di cocomero con la scritta TAGLIA CHE E’ ROSSO: me la divoro soddisfatto e beato senza pensare che non ho mangiato nulla e che il conto sará tanto salato da dover rinunciare al pranzo.
Quindi cari amici e colleghi del CENDIC: non fermiamoci a riempirci la pancia col cocomero del chiostro del mio amico TAGLIA CHE E’ ROSSO. Non é succo, é solo acqua. E se é rosso si tratta del nostro sangue. Ricordiamoci sempre che se ci offrono un servizio economico di manicure per farci curare le unghie, a nostre spese, in realtá stanno pensando di tagliarci il braccio per diminuire le loro di spese.
Che fare dunque? Io la soluzione ce l’ho, col mio cocomeraio. Non mi fermo piú al chiosco ma tiro dritto fino al ristorante dove mangio ben e servito e riverito e spendo pure meno. Un paradosso che peró le associazioni degli autori dovrebbero copiare. Del resto fondare una propria Societá degli autori rivendicando la quota parte del 10% dei proventi della copia privata e degli introiti delle pubbliche manifestazioni, nonché la quota di solidarietá e di compensazione, potrebbe essere un ottimo affare.
Basta chioschi e cocomerari, tutti al ristorante!

Enrico Bernard

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