Giochi Olimpici, tanti colori per descrivere l’eroismo

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Da Olimpia a oggi, dagli antichi Greci all’ “Atene” del 1896, quando il Barone Pierre de Coubertin decide di riformare il futuro tramite il passato, dando luogo alla più importante competizione sportiva dei nostri giorni: i Giochi Olimpici moderni. La Poesia del passato, quell’aura magica facente parte solo di quegli speciali eventi che hanno resistito alle vicissitudini di tutte le ere, rimane impressa nelle imprese degli atleti, ponendo le loro gesta in una dimensione mitica, lontana, come accompagnate da un pianoforte che intoni le “Gymnopédies” di Satie, evocazioni di un atletismo eroico e leggendario. Quel lontano sole splende tutt’oggi sul corpo di questi sportivi provenienti da tutte le parti del mondo e illuminandolo gli dona una nuova luce, che lo proietta direttamente verso il futuro, mettendolo così in condizione di guadagnare preziose vittorie e nuovi record del mondo. Oro, argento, bronzo: sono i colori della vittoria che tutti agognano; blu, giallo, nero, verde, rosso: sono i colori dei continenti alla rincorsa dei podi. Sono colori circolari che si tengono a braccetto e che in questo gesto di unione e di fratellanza hanno già vinto la gara più importante, quella che sancisce l’uguaglianza di tutti i colori dell’universo, dell’umanità tutta.

Verde, bianco, rosso: i colori di una grande legione, quella italiana, che ha portato in questa Poesia centinaia di eroi, e ben ventotto di loro hanno potuto inebriarsi della citata triade cromatica della vittoria. Ventotto gesti che rimarranno nella storia e che sono già stati impressi nell’albo dei Giochi, meticolosamente aggiornato dagli Dei. Così si legge in quel divino albo, che sa tanto di quaderno di appunti:

Con bracciate portentose, come squali alla ricerca della preda, vinsero Bruni, Detti e Paltrinieri, navigando nel “mare” della vasca olimpica sotto il segno di Nettuno, quel “mare” in cui trionfarono con salti ginnici e artistici la Cagnotto e la Dallapè, a mo’ di colibrì piroettanti o farfalle dal dolce volo, quel “mare” dove i vascelli di Abagnale, Castaldo, Di Costanzo, Lodo e Montrone scivolarono verso il traguardo prima degli altri, quel “mare”, ancora, dove i quattordici “soldati dell’acqua”, “belli” e “rosa”,  sconfissero eserciti ed eserciti fino al podio. Furono moschettieri impavidi coloro che difesero il loro forte trionfando grazie a rapidi assalti e abili balzi, Di Francesca, Fiamingo, Fichera, i fratelli Garozzo, Pizzo, Santarelli i nomi di questi guerrieri, guerrieri come Basile, Chamizo, Giuffrida, che con salti da pantera atterrarono i loro avversari invasati della forza di Marte. Come gazzelle in fuga corsero imprendibili Longo Borghini e Viviani e come falchi impeccabili Bacosi, Cainero, Campriani, Innocenti, Pellielo e Rossetti centrarono la preda da cecchini perfetti. Le gambe in aria e le mani unite come in segno di preghiera portarono Lupo e Nicolai e l’intera legione dei pallavolisti italiani verso fauste vittorie, avendo in premio lo scettro immortale della storia.

Metafore per descrivere ventotto medaglie, e come si sa agli Dei piace parlare per metafore, affinché quei gesti s’imprimano con ancor maggiore vigore nel sacro metallo dell’immortalità e affinché quell’arcaico sole possa risplendere sempre di nuova, folgorante e ardente luminosità.

Stefano Duranti Poccetti

 

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