La “Turandot” di Pizzi al Massimo Bellini di Catania

Data:

Fino al 22 ottobre 2016 al Teatro Massimo Bellini di Catania

C’era una volta, in un regno molto lontano, una principessa la cui leggendaria bellezza era pari alla sua crudeltà. Per ciascuno dei principi, provenienti da tutte le parti del mondo, che si presentava a corte la fanciulla era solita porre tre quesiti, chiunque fosse riuscito a risolverli avrebbe ottenuto la sua mano, in caso contrario l’attendeva la morte. Solo Calaf riuscirà a risolvere gli enigmi e a vincere l’amore della sua amata Turandot. Turandot fu senza ombra di dubbio l’opera più travagliata di Giacomo Puccini, non soltanto per il genere fiabesco che aveva ispirato il libretto di Simoni ed Adami e che dovette esser trattato appositamente, asciugando la scrittura gozziana, per evidenziare l’umanità dei personaggi e rendere plausibile la trama ma anche per la malattia che colpì il Maestro lucchese portandolo alla morte, il 29 novembre del 1924, e lasciando la sua opera, l’ultima, incompiuta. Molti studiosi ritengono che l’opera rappresenti l’ultimo spiraglio del periodo classico e segni, contemporaneamente, l’inizio della modernità. È facile riscontrare tematiche romantiche come il sangue e l’amore, ravvisabili già nell’incipit, ma anche archetipi classici: il duello, l’enigma e l’ignoto. Se la lotta non è altro che la trasfigurazione scenica dell’eroticità tra uomo e donna, in perenne conflitto tra loro, l’indovinello, simbolo ricorrente anche nella letteratura greca, è l’elemento che permetterà lo sviluppo della storia, coinvolgendo sia Calaf che la stessa Turandot e richiamando direttamente la questione dello sconosciuto. Nessuno sa il nome dello straniero e se Turandot ne verrà a conoscenza sarà sciolta per sempre dalla promessa. Musicalmente parlando Puccini scrisse un’opera estremamente complessa, dalle sonorità ricercate che richiamano, come in Madama Butterfly o nella Fanciulla del West, ad un esotismo e una dimensione multietnica ben precisa. Il colore locale cinese si ottiene grazie all’utilizzo della scala pentafonica, ma è rintracciabile anche nei numerosi elementi che compongono l’orchestra, in particolare, le percussioni. Ma il variegato linguaggio musicale di Puccini non può che risentire dell’influenza di autori della scena europea quali Debussy, Ravel, Bartok e Stravinskij. Pare che la difficoltà maggiore che Puccini ebbe in merito al finale fosse legata alla metamorfosi di Turandot che da pura e crudele, come viene più volte appellata da tutti, diviene umana. A questo punto diventa fondamentale la schiava Liù, che si sacrifica per non rivelare il nome di Calaf e proteggere il vecchio Timur dalla furia della principessa. Due donne così diverse: una è il simbolo della comprensione e dell’accondiscendenza, mossa dall’amore e dai buoni sentimenti, l’altra, invece, si trincera dietro l’onta dell’ava violata dallo straniero per vivere in una dimensione immateriale, che però ad un certo punto si toccano fondendosi in un’unica figura. Come in ogni favola che si rispetti lo stratagemma che segue alla morte di Liù, non può che essere un bacio.

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L’edizione in scena al Teatro Massimo Bellini di Catania è di Massimo Gasparon, che riprende per l’occasione la regia di Gian Luigi Pizzi, che firma anche scene e costumi, proposta al Macerata Opera Festival. Gasparon mantiene una continuità con il passato ma con un riguardo particolare per l’azione e la trama. Come Verdi anche Puccini è attento alla dimensione psicologica dei suoi personaggi, e in questo contesto non può sfuggire l’attenzione per l’umanità a cui approda Turandot e la volubilità del Coro. L’impianto scenico è maestoso, al centro del palcoscenico campeggia una grande statua dorata, probabilmente un Avalokitesvara, una personificazione compassionevole del Buddha, alla cui base è posto il gong che Calaf suona più volte per invocare Turandot. Mentre nella parte sovrastante, a cui si accede attraverso due rampe di scale laterali, vi è il grande portone rosso della reggia dell’Imperatore. Lo spazio così ripartito simboleggia due dimensione quella terrena e quella sovrumana, a cui Turandot si ostina ad appartenere sia per rango che per indole. Non a caso nella prima apparizione che fa in scena è avvolta completamente da un velo che sottolinea questa sua inconsistenza, perché “Turandot non esiste, Non esiste che il niente nel quale ti annulli!”. E difatti Calaf potrà accedere a quella dimensione solo dopo che con l’intelligenza, capacità di cui solo l’eroe è dotato, riesce a risolvere i complessi enigmi che gli sono stati posti. Anche i costumi seppur lontani dalla pomposità e dalla ricchezza dei ricami a cui siamo abituati, sono ugualmente efficaci. La semplicità delle linee e dei tessuti si appoggia al colore dei costumi, che rimanda subito al gioco e alla favola. I toni del porpora, della malva, dell’indaco avvolgono Turandot, l’Imperatore, il Coro e i mimi, mentre staccano su tutto il nero con dettagli bianco latte degli abiti di scena di Calaf, Liù e Timur. L’azione scenica focalizza l’attenzione su movimenti netti e precisi senza che nessun atteggiamento sia lasciato al caso neppure quello di una massa corale così imponente che vive la scena addentrandosi nel contesto e mimetizzandosi in esso. Antonio Pirolli dirige con piglio deciso la numerosissima orchestra del Massimo Bellini e nonostante qualche piccola défaillance iniziale data dai fiati porta a compimento una prova degna di questo nome. Il problema maggiore, in un concorso di responsabilità, è legato all’eccessivo volume del suono che in alcuni punti copre i solisti. Abbiamo particolarmente apprezzato la scelta di mettere un minuto di silenzio alla fine del corteo funebre, creando di fatto uno spartiacque tra la scrittura pucciniana e quella di Alfano, a cui venne affidato l’ingrato compito di completare l’opera con una chiusa trionfale. Anche se il finale di Alfano è quello più famoso non fu l’unico a cimentarsi nell’impresa, anche altri studiosi e musicisti come Berio o De Simone proposero le loro versioni. SungKiu Park è un Calaf dotato di grande potenza vocale oltre che di una prodigiosa estensione. Sfoggia una grande sicurezza sul palcoscenico e un ottimo coinvolgimento drammaturgico. Il soprano Neves è una Turandot forse troppo sanguigna per quanto richiestole dal testo, ci disorienta anche la scelta registica di farla entrare accompagnata dal Coro di voci bianche “Gaudeamusigitur” Concentus, ottimamente preparato dal Maestro Elisa Poidomani, ma che stride con il gelo che dovrebbe avvolgerla in quel preciso punto del libretto. Un vero passo falso probabilmente legato solo a una necessità tecnica visto che la scena è stata modificata per adattarsi al palcoscenico del Bellini, notoriamente ridotto nelle dimensioni rispetto a quello di Macerata. Se nel registro medio e centrale il timbro è aggraziato e i vibrati sono leggeri, negli acuti la voce si fa eccessivamente stridula, risultando metallica. Rosanna Savoia veste alla perfezione i panni di Liù, le perdoniamo perfino la mancanza di volume in alcuni punti, perché ha presenza scenica e grande tecnica vocale. L’elemento fiabesco per eccellenza è rappresentato da Ping (Giovanni Guagliardo), Pong (Gianluca Bocchino) e Pang (Saverio Pugliese), tre straordinari interpreti vocali e attoriali al confine tra la coscienza critica di un ostinato Calaf, nel primo atto, e soldatini alle strette dipendenze della principessa nel secondo, ma in fondo dei buontemponi che alleggeriscono il clima drammatico della storia. A concludere il cast: Giuseppe Costanzo, Andrea Comelli e Paolo La Delfa. Come sempre eccellente il livello del Coro diretto dal Maestro Craigmile che si distingue per la compattezza del suono e la precisione degli interventi oltre che per l’impegno scenico.
Nonostante la lunghezza dell’opera il punto di forza è la sua estrema godibilità, visiva, recitativa e musicale. Una musica in continua evoluzione lontana dagli schemi del passato proiettata verso il presente.

Laura Cavallaro

TURANDOT
di Giacomo Puccini Libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni
Direttore Antonio Pirolli
Regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi Maestro del coro Ross Craigmile
Maestro del coro di voci bianche Elisa Poidomani
Luci Vincenzo Raponi
Turandot Susan Neves – Ana Petricevic (R, S1, S2, FA)
Altoum, Giuseppe Costanzo
Timur, Andrea Comelli
Calaf, Sung Kyu Park – Mario Zhang (R, S1, S2, FA)
Liù, Rosanna Savoia – Laurence Guillod (R, S1, S2, FA)
Ping, Giovanni Guagliardo
Pang, Gran Provveditore Saverio Pugliese
Pong, Gran Cuciniere Gianluca Bocchino
Un Mandarino Paolo La Delfa
Coro di voci bianche “Gaudeamus igitur” Concentus
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO MASSIMO BELLINI

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