“Snowden”. Raccontare l’ultimo decennio della storia americana tramite un hacker

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A 4 anni di distanza da Le belve, Oliver Stone torna dietro la macchina da presa con Snowden, un’opera decisamente più impegnata e perciò impegnativa, che conferma i codici improrogabili della poetica del regista americano: la biografia innanzitutto, a cui dare un taglio personale, e tanti temi cari, come il patriottismo, la forza di scegliere “contro”, la corruzione largamente diffusa. Di fatto con la storia di Edward Snowden, l’informatico e hacker ex dipendente della CIA che rivelò dati segreti su programmi di intelligence del governo americano finalizzati al controllo, Stone ha la possibilità di ripercorrere l’ultimo decennio della storia americana, di mostrarne con le giusti dosi ed inserimenti ad hoc, studiati con il classico uso del montaggio che gli compete, i fatti salienti, e di gettare fango un po’ a destra e a sinistra. E tra queste sabbie mobili far emergere il suo personale eroe, non di quelli in formato DC o Marvel, ma reale, un nerd pallido e un po’ impacciato, che ha il viso dell’attore Joseph Gordon-Levitt.

L’interpretazione misuratissima e mai debordante di Gordon-Levitt incarna perfettamente l’idea che Stone aveva del suo protagonista, e anche la medesima che si era fatta un pubblico quanto meno informato su queste vicende. Ma allo stesso tempo è sintomatica di un film che si appiattisce in una rappresentazione stereotipata e didascalica, che non riesce a svincolarsi dall’urgenza di narrare la realtà dimenticandosi di drammatizzarla in modo più programmatico e decisamente più coraggioso: il film si incarta spesso su stesso dispiegando una semplicistica cronologia degli eventi spesso sterile e fredda. Vita privata e professionale di Snowden si legano difficilmente, e restano blocchi a se stanti, senza che l’una giustifichi pienamente l’altra o viceversa: la fidanzata Lindsay Mills, interpretata in monocorde e abulicamente da Shailene Woodley è la classica compagna fedele, che rare volte riesce a “rompere” questa cronologica realtà risultando come “coscienza” del fidanzato, e resta piuttosto ai margini, come contorno.

Così noi capiamo chi fosse Snowden, veniamo informati sull’andamento dei fatti, intendiamo il valore della sua impresa, ma dietro non vediamo nient’altro: conosciamo la persona, non il personaggio. Così tutto ciò che ammanta Stone intorno a quest’uomo diventa pesante per lui, il protagonista, e tanto più per noi spettatori. Sebbene sia stato un personaggio scomodo e decisivo per smascherare tanti oscuri cavilli del governo americano, questo eroe non richiedeva le più di due ore di durata del film: la Storia lo ha accerchiato, non facendolo emergere come avrebbe dovuto, e ha soprattutto soffocato la storia, ben più importante. Così il film ne esce farraginoso e faticoso, difficilmente digeribile, anche perché spesso sbrodolato e dispersivo, quando invece sarebbe stato più incisivo con un approccio frontale e diretto.

A Snowden manca una spinta più cinematografica, una narrazione che si innervi di riflessi stilistici e drammatici, e non solo di riflessioni già in parte fatte, perché recenti e note ai più.

Voto 5 su 10

Simone Santi Amantini

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