“Locandiera B & B”: invito a cena con delitto per Laura Morante

Data:

Teatro Signorelli, Cortona. Lunedì 23 gennaio 2017

Toscana, in un tempo e in un luogo imprecisati. Con l’aiuto del marito Rando, che ha curato i lavori, la signora Mira ha trasformato in albergo il grande casolare che ha ricevuto in eredità da parenti. Una sera, pochi giorni prima dell’apertura ufficiale dell’attività, Mira riceve la visita di quattro persone sconosciute, due uomini e due donne, convocate da Rando; quest’ultimo è assente per impegni vari, ma è comunque atteso dagli invitati per cena. Dato il prolungato ritardo del marito, la donna decide di servire il pasto, cercando di intrattenere gli ospiti con un po’ di conversazione. L’atmosfera, però, stenta a decollare, i commensali mostrano segni d’impazienza e Mira, lasciata sola a gestire la situazione da Brizio, contabile e uomo di fiducia di Rando, è sempre più in difficoltà. All’improvviso suona il campanello: fuori della porta c’è un nuovo, misterioso visitatore, l’ombroso sig. Riva, che chiede una stanza per riposare. Tra Mira e il nuovo arrivato scatta subito l’intesa: la donna vede in lui un alleato, quasi un’ancora di salvezza, per affrontare una situazione che non riesce a capire (Chi sono gli ospiti? Qual è il loro scopo? Perché Rando li ha invitati?). Riva, però, ha un obiettivo ben preciso, e in tasca porta una pistola…

Non inganni il titolo: Locandiera B & B è tutt’altro che una rilettura moderna de La locandiera. Edoardo Erba, autore del testo, si è soltanto liberamente (ma molto liberamente) ispirato alla celeberrima opera di Goldoni per scrivere una pièce che, a parte i nomi dei personaggi e alcuni elementi narrativi (come, per esempio, il personaggio di Riva, evidentemente ispirato alla figura del Cavaliere di Ripafratta), ha davvero poco da spartire con il classico settecentesco. Locandiera B & B è un giallo/thriller con tocchi di commedia, un allegro-non-troppo tuffo negli abissi dell’animo umano, dove niente è ciò che sembra e dove tutti, pienamente in linea con i tempi in cui viviamo, agiscono per il proprio tornaconto, in nome del quale non esitano a ricorrere a qualunque bassezza. In comune con Mirandolina, la Mira impersonata da Laura Morante ha sicuramente l’astuzia e l’impareggiabile capacità –fonte di un certo autocompiacimento- di sedurre e manipolare gli uomini, doti che rendono entrambe le donne vincenti e dominatrici; diverse sono, però, sia le strategie sia le finalità dei due personaggi. Mirandolina ricorre all’arte della seduzione femminile per farsi beffe dei maschi e della loro presunzione di superiorità e quindi, in un certo senso, agisce ispirata da un’intima motivazione ideologica (l’affermazione della donna in un’epoca in cui è ancora forte la disparità tra i sessi). Mira si spinge ben oltre e, una volta presa coscienza dell’ascendente che ha nei confronti dell’altro sesso (cosa che avviene gradualmente: all’inizio la donna appare timida, ingenua e impacciata, poi pian piano acquisisce sicurezza fino a diventare padrona assoluta del campo), decide di “far saltare il banco”, portando a casa l’intera posta. In un sol colpo, infatti, riesce a liberarsi degli ospiti e pure, con un’abile mossa strategica da fredda calcolatrice, del marito; in più e, forse, soprattutto, riesce a mettere le mani su una bella valigia piena di soldi (eh, sì: c’è pure il malloppo!). E pazienza se, in tutto questo, il povero Brizio c’abbia rimesso le penne… In Mira, dunque, l’astuzia venata d’idealismo della “progenitrice” Mirandolina scompare per lasciare il posto a spregiudicatezza e cinismo; le simpatiche e, in fondo, quasi innocue schermaglie amorose de La locandiera sfociano qui nel delitto, per giunta senza castigo. Se, azzardando una lettura sociologica un po’ forzata, il trionfo finale della bella locandiera “moderna” può assumere, per estensione, i connotati di un’irridente rivincita “di categoria” (quella delle donne) proprio come avviene nella Locandiera di Goldoni, la portata sociale della vittoria di Mira è nettamente inferiore rispetto a quella di Mirandolina, per almeno due motivi: le molte ombre che caratterizzano la personalità di Mira, una figura tutt’altro che esemplare o positiva; la radicale diversità tra i contesti sociali di riferimento delle due opere (la condizione della donna odierna è ben diversa, almeno in alcune parti del mondo, da quella della donna del settecento). Lo stesso Edoardo Erba, probabilmente, vista la natura profondamente ambigua della “sua” Mira, non prova per lei la stessa simpatia e complicità che Goldoni dimostra –con accenti spiccatamente femministi- alla sua Mirandolina. Nell’arco delle poche ore in cui si svolge la storia, Mira passa da una condizione di totale –almeno in apparenza- sudditanza nei confronti del losco e più che discutibile marito (anche se non lo vediamo mai, non possiamo fare a meno di immaginarlo come un classico faccendiere) a una posizione d’inebriante senso di superiorità e di emancipazione, che finisce per farle perdere la testa, portandola sulla strada del crimine; perciò, la sua vittoria non ha nulla di edificante né di veramente liberatorio, e la vicenda si chiude all’insegna di un preciso messaggio a metà tra il pessimismo e il realismo (fate voi): non sempre vincono i buoni… sempre che esistano ancora!

Come si è visto, in Locandiera B & B la vera trionfatrice è l’amoralità, che è ovunque. Mettendola ancora sul piano sociologico, il testo di Erba -implicazioni femministe a parte- può esser letto come una beffarda critica della società contemporanea e delle sue ossessioni (su tutte, il denaro). Se ne La locandiera Goldoni ironizza sull’aristocrazia, cioè una delle classi sociali più in vista della sua epoca, Erba, riallacciandosi al Maestro veneziano, rivolge i propri strali contro i veri mattatori dei nostri tempi: gli affaristi, i business men, qui presentati senza alcuna indulgenza. Anche per questo non si riesce a simpatizzare veramente per nessuno dei personaggi: sono tutte “anime nere” o, se proprio vogliamo essere noi un po’ indulgenti, “grigie”.  Il colore dominante nella vicenda è proprio il grigio-smog o, ancor più appropriato, il grigio-nebbia. Nebbia di cui l’intera storia è perennemente avviluppata, complici le molte reticenze di un testo che, allo scopo di creare un’aura di mistero, omette intenzionalmente molto, forse troppo, lasciando senza risposta varie domande. La tensione, grazie anche agli ansiogeni temi musicali d’accompagnamento, si taglia col coltello per buona parte dello spettacolo ma lo scioglimento finale, un po’ frettoloso, toglie pathos a una vicenda che mantiene solo alcune delle promesse fatte all’inizio.

Laura Morante, diretta con mano sicura dal regista Roberto Andò, sfoggia con orgoglio la propria toscanità illuminando la scena con il suo carisma e la sua bravura; una presenza il cui bagliore finisce però, quasi inevitabilmente, per lasciare un po’ in ombra il resto del cast…

Francesco Vignaroli

Presentato da Nuovo Teatro in coproduzione con Fondazione Teatro della Toscana
Con Laura Morante
Regia Roberto Andò
Di Edoardo Erba liberamente ispirato a La locandiera di C. Goldoni
 con
Giulia Andò, Bruno Armando, Eugenia Costantini,
Vincenzo Ferrara, Danilo Nigrelli, Roberto Salemi
scene e luci Gianni Carluccio
costumi Alessandro Lai
suono Hubert Westkemper
assistente alla regia Luca Bargagna

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