“L’avaro” toscano di Chiti-Benvenuti

Data:

Venezia Mestre, Teatro Toniolo, dal 22 al 26 febbraio 2017

Non tutte le ciambelle riescono col buco. Deve aver provato tale sentimento Molière davanti alla freddezza riservata all’Avare. In effetti, lo ricorda Davico Bonino, dopo Georges Dandin fu netta la cesura creatasi nella produzione, diretta verso estremi cambiamenti di prospettive. Perché poco successo? Probabilmente per l’assenza dell’occasione polemica contro qualcuno o qualcosa, prassi consueta di Molière. La commedia altro non è che la descrizione, come Monsieur de Pourceaugnac e Le malade imaginaire, di un carattere in bilico tra farsa e tragedia.

L’adattamento proposto da Ugo Chiti per la storica compagnia Arca Azzurra, di cui nel 2013 al Toniolo si vedeva Mandragola, modifica il testo in più parti, senza stravolgere il senso complessivo. Il regista toscano elimina le prime due scene, ritocca l’agnizione con tinte fiabesche e aggiunge un finale alternativo. Nell’originale, infatti, la cassetta non torna sul palco, mentre qui Cleante la restituisce di persona ad Arpagone. Ciò giustifica l’assolo conclusivo, finalizzato alla riflessione sul potere paralizzante del denaro e a ribadire la sua natura di personaggio privo di antagonisti. In questo Chiti si adegua alla drammaturgia di Dullin che nel 1913 rivalutò l’importanza degli altri ruoli, accomunati tutti dal risentimento verso il padrone. In tale dissidio, la parola esprime con violenza il rancore condiviso, spingendosi volentieri a costanti pensieri di morte, procurata o augurata. La vicenda amorosa poi viene trattata strizzando l’occhio a Marivaux, creando così un grazioso collage tra Seicento e Settecento dagli esiti felici – l’inizio dell’atto quarto, dove scorgo atmosfere alla Watteau mentre la Tartine de beurre accompagna la sortita delle donne intriganti tra piramidi di macarons, bossi a palloncino e gonne svolazzanti, è una momento di ariosità nell’austero clima domestico. Mix storico non solo registico, ma anche tecnico. Il commento sonoro di Vanni Cassori alterna infatti lacerti barocchi a estratti mozartiani, così come la varietà delle fogge degli abiti, impiegati al di fuori della filologia, desidera suggerire caratteri, esternazione di sofferti moments of being. La scena fissa, un fondale volumetrico con tre entrate vagamente prampoliniano, si arricchisce di arredi mobili, all’interno dell’ambiente cupo e grigio ben illuminato da Marco Messeri.

Alessandro Benvenuti ripulisce Arpagone dai lazzi della tradizione, su cui invito il lettore a documentarsi perché numerosi e gustosi, rivestendolo di un’originale cadenza fiorentina. L’acutezza di non concentrare l’attenzione solo su di sé, ma dare spazio anche ai colleghi, fa sì che i tempi comici siano sempre fluidi, rodati, senza cali di tensione alcuna. Tra i validi attori si distinguono Giuliana Colzi, rossa Frosina maliziosa al punto giusto, e Dimitri Frosali, Mastro Giacomo di irresistibile aplomb. L’Elisa di Lucia Socci ha la delicatezza d’una porcellana di Limoges, mentre troppo caricato è il platinato Cleante di Andrea Costagli. Merita una menzione particolare Desirée Noferini, Mariana precisa, tormentata nei gesti e nei pensieri, ma senza sbavature patetiche. Bravi Gabriele Giaffreda, Massimo Salvianti e Paolo Ciotti.

Teatro affollato e consensi calorosi alla prima del 22 febbraio.

Luca Benvenuti

L’avaro
di Molière
Adattamento, ideazione spazio e regia: Ugo Chiti
Foto Botticelli
Personaggi e interpreti:
Arpagone: Alessandro Benvenuti
Valerio: Gabriele Giaffreda
Elisa: Lucia Socci
Cleante: Andrea Costagli
Freccia: Massimo Salvianti
Mastro Giacomo: Dimitri Frosali
Don Anselmo: Paolo Ciotti
Frosina: Giuliana Colzi
Mariana: Desirée Noferini
Ricerca e realizzazione costumi: Giuliana Colzi
Luci: Marco Messeri
Musiche: Vanni Cassori
Produzione: Arca Azzurra Teatro

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