La prostituzione: una fermata del tram. “Storia, arte e dignità della meretrice nella nostra cultura nella prospettiva della legalità”

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Compiendo una ricerca sul tema della prostituzione ho trovato questo dipinto del 2006 di Giuseppe Lucio Fragnoli dal titolo “Una fermata del tram” eseguito con tecnica mista – penna, pastello, tempera. Esso descrive una via urbana di notte, affollata di meretrici. Proprio quella che di giorno è una fermata del tram si trasforma di notte in bordello, raffigurando così una delle nostre lacune della società: quella d’ignorare non solo un luogo ma sopratutto le donne che svolgono tale mestiere e i vari pericoli che si possono riscontrare nello stesso. In un contesto sociale dove queste donne vengono considerate di secondo o ultimo livello della società e di conseguenza discriminate. Fragnoli in questo dipinto raffigura molto bene tale argomento, sempre di grande attualità. E’ considerato da tanti il mestiere più antico della storia dopo l’agricoltura e l’allevamento. Pierre Dufour, autore di “Storia della prostituzione di tutti i popoli del mondo: dall’antichità la più remota sino ai tempi moderni” pubblicato nel 1857 dalla casa editrice Perrin e curato da G. La Cecilia, attesta che le prime tracce di prostituzione si trovano nella Caldea antica (in Mesopotamia). Precisamente essa sarebbe nata a Hur o Ur, una città Stato dell’antichità. Per i babilonesi divenne la forma più caratteristica di Venere e di Militta (considerate divinità dell’amore e della prostituzione). Dufour sostiene che secondo Erodoto (primo Storico della storia) i babilonesi avevano istituito una legge sulla prostituzione. Ogni donna era obbligata una volta almeno nella sua vita ad andare al tempio di Venere per abbandonarsi a uno straniero. Tale legge valeva per tutte le donne senza nessuna distinzione. Anche per le fanciulle di buona famiglia che giungevano al tempio ricoperte per non farsi vedere, insieme ai loro servitori che li accompagnavano. Altre invece (cittadine comuni) si ritrovavano in un campo annesso al tempio della dea con una corona sul capo. Considerata Sacra, la prostituzione si diffuse nell’isola di Cipro e in Fenicia, accompagnata dal culto di Venere e Militta. L’atto di prostituzione era legale e considerato un modo di consacrare le donne alla dea Venere. Probabilmente essa esisteva già dalla Preistoria ed era diffusa in tutti i popoli, dai Greci all’Egitto agli ebrei a Roma antica. Dufour ritiene certo che la prostituzione esistesse nell’età remota così come nella stirpe giudaica, come fra i pastori e i cacciatori della Caldea. Considerata di valore Sacro era radicalmente antipatica alla religione di Moisè. Fu proprio questo il primo a imporsi per porre un freno al suo popolo e reprimerla in nome di Dio. In Grecia essa ebbe divinità e templi. Ella è tornata all’origine col paganesimo greco. Inizialmente la Grecia ricevette dall’Asia il culto di Venere con quello di Adone. Queste due divinità amorose furono moltiplicate sotto la forma di molteplici nomi. I sacerdoti e i poeti, che assunsero di comune accordo l’impegno d’inventare e scrivere gli annali delle loro divinità, non fecero che sviluppare un tema unico al riguardo il piacere sessuale. In quella mitologia l’amore ricompariva a ogni stante con un carattere svariato; la storia di ciascuna Dea non è che un inno voluttuoso in onore dei sensi. Di conseguenza la prostituzione era tollerata sia in termini di religiosità ma anche di dignità umana. Le prostitute in Atene antica formavano tre classi sociali distinte fra loro: le Ditteriadi, Auletridi e le Etarie. Le prime erano le schiave della prostituzione, le seconde le ausiliarie e le terze le regine. Furono le Ditteriadi che Solone (politico) radunò in case pubbliche di libertinaggio. Esse appartenevano per legge a chiunque entrasse in queste case. Le auletridi avevano un’esistenza più libera; esercitavano il loro lavoro nei festini. Infine le etarie erano coloro che si prostituivano per le strade. Non si concedevano comunque a tutti. Essendo libere decidevano loro stesse a chi concedersi facendosi pagare. Naturalmente essa esisteva anche a Roma antica prima e dopo che questa divenisse un Impero. La sua legalità a Roma fu introdotta da femmine forestiere. Inoltre, era legata al culto della Venere. Qui però la divinità non pretendeva sacrifici. Le meretrici a Roma offrivano alla dea le insegne o gli arnesi della loro professione, bionde parrucche, pettini, specchi, cinti. È con il Cristianesimo che la prostituzione non fu più tollerata. Esso riuscì quasi a proscriverla nei suoi secoli primitivi, di fede e di sacrificio: molti papi la bandirono dalla metropoli cattolica, ma nonostante gli sforzi e tanti trionfi la prostituzione ricomparve mostrandosi imbattibile. Essa si avvolse sfrontata e impudica nel manto della legalità. Da ipotizzare che anche i primi Imperatori cristiani oltre a renderla legale la tassassero come una normale attività lavorativa vera e propria. La legge nell’antichità sia a Roma e in Grecia probabilmente non tollerava la prostituzione in caso in cui la persona che si prostituiva veniva costretta a farlo. Qualora la prostituzione era di libera scelta veniva tollerata e riconosciuta come professione.

Il tema trattato è molto ampio e non è facile riassumerlo. Evidenzio che nel nostro Paese con la norma 20 febbraio 1958, n. 75, nota come legge Merlin, dal nome della senatrice Lina Merlin, si stabilì la chiusura delle case di tolleranza o di appuntamento. La codesta legge proibisce l’attività delle “case di prostituzione”. Punisce lo sfruttamento e il favoreggiamento della prostituzione, in particolar modo “chiunque favorisca o sfrutti la prostituzione altrui”. In quest’itinerario c’è da domandarsi se l’obiettivo sia riuscito o se lo stesso non abbia peggiorato la situazione di sfruttamento. Inoltre, c’è da considerare la situazione in termini igienici – sanitari ma anche di dignità della persona che in questa società viene ignorata per il mestiere che svolge. Di sicuro la medesima legge non ha portato all’eliminazione del mestiere, bensì forse ha costituito l’aspetto più drastico e triste, poiché molte donne esercitano per le strade, oppure nei pressi di quelle fermate dei tram raffigurate da Fragnoli … stando così all’apertura di tutti i rischi possibili e vivendo in una situazione inaccettabile per la dignità umana. Gli animali hanno una vita migliore perché si ritrovano nelle stalle, correndo meno pericoli. Di conseguenza, si può restare indifferenti di fronte a tale situazione? A mio giudizio No e bisognerebbe tracciare la strada verso la prospettiva per un riconoscimento in termini d’identità professionale, permettendo alle stesse di svolgere l’attività in luoghi sicuri e dignitosi da un lato; dall’altro consentendole di permettersi un’assicurazione sulla vita, pagarsi i contribuiti e le tasse come normali cittadine e lavoratrici.

Giuseppe Sanfilippo

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