ATTI OSCENI, I tre processi di Oscar Wilde

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Uno spettacolo che emoziona, affascina, dal ritmo serrato, in certi momenti capace di toccare picchi molto drammatici, un à bout de souffle che ricostruisce i tre processi subiti da Oscar Wilde prima della condanna definitiva a due anni di lavori forzati, per il “reato” di omosessualità.
Atti osceni, Gross Indecency -The Three Trials of Oscar Wilde del drammaturgo venezuelano naturalizzato americano Moisés Kaufman e che Ferdinando Bruni e Francesco Frongia hanno messo in scena in lingua italiana, apre all’Elfo Puccini il Festival Lecite Visioni indetto dal Teatro Filodrammatici sotto la direzione di Mario Cervio Gualersi e che si concluderà il 29 ottobre. La sua prima uscita però era stata al Festival di Spoleto, l’estate scorsa, anche lì con grande successo.

Oscar Wilde, interpretato da Giovanni Franzoni di cui percepiamo un’ intensa commozione e partecipazione e nello stesso momento quasi un timore reverenziale nell’impersonare l’ impegnativo personaggio, sulla scena ha poco di quella beffarda ironia di cui sono impregnate le sue opere, lasciando più spazio ad un comportamento elegante e misurato, di evidente sopportazione nei confronti dei suoi giudicanti, ma capace anche di manifestarsi con passione, coraggio e ardore nella difesa pugnace delle sue idee. Così, sul palco, Wilde, sebbene circondato da un numeroso gruppo di attori che impersonano l’amico intimo Lord Alfred Douglas, suo padre il Marchese di Queensberry, gli avvocati, i giudici, le sue giovani “vittime”, Bernard Shaw, il narratore, la Regina Vittoria, appare un eroe solitario. Mentre tutti gli attori, Riccardo Buffonini, Edoardo Chiabolotti, Giusto Cucchiarini, Ludovico d’Agostino, Giuseppe Lanino, Ciro Masella, Filippo Quezel, Nicola Stravalaci, si avvicendano con padronanza e bravura (alcuni di loro sono giovani under 30) anche in più ruoli, lui è l’unico a rimanere un fiero groviglio irlandese di uomo combattuto e combattente, filosofo, poeta, amante della bellezza e dell’arte, seguace di quell’ideale greco che la società di allora ma forse anche di oggi, non tollerava e perciò combatteva. Come se amare, idolatrare, ricercare la bellezza, e non importa quale veste indossi, fosse un crimine da punire con il carcere, il vilipendio, l’ostracismo, la rovina psicologica e materiale.

Atti_osceni_al centro Giovanni Franzoni (Wilde)© Laila Pozzo_0517
Scriveva Wilde:
« La Bellezza è l’unica cosa contro cui la forza del tempo sia vana. Le filosofie si disgregano come la sabbia, le credenze si succedono l’una sull’altra, ma ciò che è bello è una gioia per tutte le stagioni, ed un possesso per tutta l’eternità.»
Nella messa in scena cui abbiamo assistito, tale concetto è urlato con forza per bocca del poeta mentre, dall’altra parte, dalla parte dei suoi accusatori, è con altrettanta forza vigliaccamente attaccato, in nome di una morale vittoriana e puritana che vedeva nel grande Autore un nemico, un corruttore, un essere da distruggere. E quando lui parla di arte, gli fanno eco voci querule e insopportabili di marchesi, politici, avvocati, paladini di convenzioni, formalismi, ipocrisie, i soliti parrucconi incipriati, personaggi corrotti che pensarono bene di mettersi al riparo all’estero dopo lo scoppio dello scandalo. Wilde, invece, rimase, dando prova di coraggio e di colpevolezza; colpevole di amare la libertà, la poesia, l’arte, e di questo non ne hai mai fatto mistero.
Ma la grandezza delle sue opere, prima fra tutte “Il ritratto di Dorian Gray” che continua ad affascinarci per quel meraviglioso concetto di bellezza legata al tempo, alla rovina, alla morale, all’anima e di amore per un giovane che ne è il rappresentante perfetto, non è forse ciò su cui solo dovremmo focalizzarci, a prescindere dalle tendenze sessuali dell’Autore?
Stessa sorte toccò al Marchese de Sade, filosofo, scrittore, libertino, anticlericale. E come non dimenticare Giordano Bruno, messo al rogo dalla Chiesa? Tutte le società dittatoriali ma anche non necessariamente tali, hanno capito che l’arte è la forma più potente di libertà e di propaganda, e così furono costruiti i lager, i gulag, i tribunali dell’Inquisizione, per sopprimere, tra gli altri, artisti la cui unica colpa era combattere con la penna in mano.
Ma torniamo alla bella messa in scena di Bruni e Frongia che scelgono sbarre mobili per delimitare le scene, sedie rococò, mantelli neri e una parrucca bianca tutta boccoli e bella l’idea dei corsetti stringati e dei cilindri per i ragazzini “toys” e il costume sobrio (forse un pochino troppo?) di Wilde. Sullo sfondo video riproduzioni di dettagli di quadri della Belle Epoque, qualche Preraffaellita, sculture, e nella scena finale la gigantografia di un famoso ritratto di Wilde che però ahimè, e questo è l’unica critica che ho da fare, non è rimasta a campeggiare fino alla fine per ricevere i tantissimi applausi scrosciati dalla sala piena, invece di sparire. Ci saremmo inchinati.
Sarebbe stato un atto dovuto al grande scrittore che ci ha lasciato un’ eredità artistica ineguagliabile, oltre a una lezione di vita per quei tanti parrucconi che si aggirano ancora nelle nostre strade mascherati sotto altre insospettabili spoglie. A loro non ci inchiniamo.

Da La Casa del Giudizio di Oscar Wilde:
E l’Uomo rispose e disse, “Pure questo ho fatto.” E Dio chiuse il Libro della Vita dell’Uomo, e disse, “Certamente ti manderò all’Inferno. Proprio all’Inferno ti manderò.”
E l’Uomo esclamò, “Non puoi.”
Dio gli chiese, “Perché mai non posso mandarti all’Inferno, e per quale ragione?” “Perché all’Inferno ho sempre vissuto”, rispose l’Uomo.
E ci fu silenzio nella Casa del Giudizio.
E dopo una pausa Dio parlò, e disse all’Uomo, “Visto che non posso mandarti all’Inferno, certamente ti manderò in Paradiso. Proprio in Paradiso ti manderò.”
E l’Uomo esclamò, “Non puoi.”
E Dio disse all’Uomo, “Perché mai non posso mandarti in Paradiso, e per quale ragione?”
“Perché mai, e in nessun luogo, sono stato capace di immaginarlo”, rispose l’Uomo.
E ci fu silenzio nella Casa del Giudizio.

Daria D.

SALA SHAKESPEARE | 20 OTTOBRE – 12 NOVEMBRE 2017
MAR-SAB: 20:30 / DOM: 16:00
ATTI OSCENI
I tre processi di Oscar Wilde
di Moisés Kaufman
traduzione Lucio De Capitani
regia, scene e costumi di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia
con Giovanni Franzoni, Ciro Masella, Nicola Stravalaci, Riccardo Buffonini, Giuseppe Lanino, Edoardo Chiabolotti, Giusto Cucchiarini, Ludovico D’Agostino, Filippo Quezel
luci Nando Frigerio
suono Giuseppe Marzoli
produzione Teatro dell’Elfo
Foto Laila Pozzo

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