“Coco”: la Pixar ritrova il capolavoro

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Anziché imparare il mestiere di calzolaio e portare avanti così una lunga tradizione di famiglia, il dodicenne Miguel desidera diventare un grande musicista e ricalcare le orme del suo mito, il cantante e chitarrista Ernesto de la Cruz, gloria nazionale. In famiglia, però, vige un odio atavico per la musica risalente al tempo in cui, per seguire lo stesso sogno del ragazzino, il suo trisavolo ha abbandonato la moglie Imelda e la figlioletta Coco, cioè la bisnonna di Miguel, che è ancora in vita. Determinato a partecipare alla gara musicale organizzata nella sua cittadina, Santa Cecilia (Messico), per celebrare la festa del Giorno dei Morti, Miguel si intrufola nel mausoleo dedicato a de la Cruz e “prende in prestito” la chitarra del Maestro (la sua gliel’ha rotta la nonna per impedirgli di prendere parte al concorso), innescando così un incantesimo che lo trasporta nell’aldilà…

Dopo il discreto Cars 3, uscito in Italia lo scorso settembre, con Coco (ancora in programmazione nelle sale cinematografiche) la Pixar ha chiuso il 2017 col botto, regalandoci un nuovo capolavoro, degno dello sperimentale e imperdibile Inside out (2015), giustamente premiato con l’Oscar per il miglior film d’animazione. Beh, pur con un impianto narrativo più tradizionale, Coco si candida autorevolmente a riportare l’ambito riconoscimento in casa Disney/Pixar –e sarebbe il nono in diciassette edizioni- dopo la “pausa” della scorso anno, caratterizzato dalla vittoria di Zootropolis.

Statistiche e premi a parte, Coco si impone come uno dei migliori film Pixar di sempre; tanto per rendere l’idea, siamo al livello di opere del calibro di Up e del già citato Inside Out, e non troppo distanti dall’inarrivabile -almeno fino a oggi- WALLE. Il film è un coloratissimo omaggio al Messico, alla sua musica, alla sua cultura e alla sua religiosità popolare, così intrisa degli elementi magici e sovrannaturali lasciati in eredità dalla civiltà precolombiana originaria; elementi “pagani”, quindi, che però, in occasione del Dìa de muertos (il Giorno dei Morti), si incontrano con quelli “sacri” per formare una miscela unica nel suo genere, frutto della commistione tra l’antica cultura precolombiana e quella cattolica.

Oltre ad essere una meraviglia per gli occhi, Coco vanta una sceneggiatura di prim’ordine, tra le più poetiche e toccanti mai scritte per un film d’animazione (quasi impossibile non lasciarsi scappare qualche lacrimuccia…), senza però rinunciare ai consueti tocchi di comicità, qui affidati al simpaticissimo cane Dante che, tra l’altro, si rivelerà essere l’alebrije (“Spirito-guida”) del protagonista: un altro elemento tipico delle trazioni popolari messicane. Attraverso la storia del piccolo Miguel il film afferma l’importanza dei legami familiari, il che non esclude, però, il diritto/dovere per ciascuno di seguire le proprie aspirazioni, con o senza il consenso della famiglia. E, oltre a questo, Coco ci lascia con un messaggio di esemplare limpidezza, semplice e universale: le persone care scomparse continuano a vivere nel ricordo di chi è rimasto.

Tra i personaggi del film compare per un affettuoso cameo, riconoscibilissima, anche la pittrice Frida Kahlo: un piccolo colpo di genio che rende ancora più sentito l’omaggio di Coco alla cultura messicana.

Francesco Vignaroli

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