“Il discorso del Capitano – Roma Genoa 3 – 2”. Emozioni condivise

Data:

Roma, Teatro Sala Umberto, 28 marzo 2018 – Prima nazionale

Detesto Giuseppe Manfridi. Lo detesto almeno quanto lo amo. Drammaturgo eccelso, che non ha bisogno delle mie righe per conservare il suo scranno nell’Olimpo teatrale, no di certo. Lo detesto perché quando scrive di certi argomenti, ha sul sottoscritto lo stesso effetto di una mareggiata improvvisa che sconquassa i fondali paciosi, assestati con fatica. Con violenza lui rivolta l’apparente ordine per crearne uno nuovo, conosciuto ma taciuto, quasi preservato da occhi indiscreti. Perché lo fa, mi domando? Perché non conserva dentro di sé quelle emozioni di cui, ammettiamolo, siamo gelosissimi? Il discorso del Capitano, andato in scena nella serata unica del 28 marzo al Teatro Sala Umberto di Roma, tutto esaurito, è il settimo atto del progetto Dieci Partite, iniziato nel 2009 insieme a Daniele Lo Monaco. Chi non conosce Manfridi potrebbe pensare che ogni capitolo sia solo un testo appannaggio di tifosi accaniti, roba da stadio, recintata da fede ottusa. Senza rinnegare la sua grande e colta passione romanista, ognuno dei sette atti fin qui scritti, è un compendio di vita, di tempo vissuto, di filosofia, storia, cultura, di gioia e dolori. Di teatro, essenzialmente. Ecco, questo è un punto importante. Si può essere tifosi o no, si può essere interessati al calcio o infischiarsene, ma un testo di Manfridi non lascia mai indifferenti perché abilmente va a toccare tante di quelle corde che prima o poi colpisce anche lo spettatore più distaccato. Ma io non lo sono e per questo lo detesto, almeno quanto lo amo. “Non chiedete all’amore di essere benevolo. Sarebbe disumano. Non sarebbe  neanche amore”, lo scrive lui nel testo, non io. Sebbene anche ne Il discorso del Capitano, forse il più viscerale dei sette capitoli, siano tanti i riferimenti colti e ironici, passando da una geografia segnata dalle gesta di Totti, alla matematica dei dati, delle statistiche, alla poesia di un componimento, tirando in ballo Tolstoj, Leopardi e L’infinito, Ungaretti e Montale, il potere e la magia della parola, la nostra vita che scorre, che cresce anche in preda al ricordo di bambini, adolescenti, adulti, chi ha la sua stessa passione inevitabilmente soffre. Fondali sconquassati dall’onda delle emozioni.

“Per essere poetici non è richiesto l’obbligo di essere poeti”. E’ un altro assunto che in questo nuovo monologo prende corpo con le sue parole, e con le parole di quel discorso scritto prima e letto poi in uno stadio adorante e commosso. Cose nostre, direbbe lui stesso e dico io, ma che in fin dei conti appartengono ad ogni persona alle prese con la crescita, col cambiamento nella vita e quindi con la paura del futuro, che non ha colori né bandiere. Per questo lui le mette in scena, per tutti. Me ne farò una ragione, e detestandolo continuerò ad amarlo.

Paolo Leone

Roma, Teatro Sala Umberto, 28 marzo 2018 – Prima nazionale.
Viola Produzioni presenta:
Il discorso del Capitano – Roma Genoa 3 – 2, di e con Giuseppe Manfridi.  Musiche di Antonio Di Pofi. Regia di Claudio Boccaccini.
Si ringrazia l’ufficio stampa del Teatro Sala Umberto nelle persone di Silvia Signorelli e Monica Menna

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