Cantare la voce: i Take 6 in “Tribute to Al Jarreau”

Data:

Umbria Jazz Festival, Perugia, Teatro Morlacchi. Sabato 14 luglio 2018

Arena Santa Giuliana, 20 luglio 2014, concerto finale della quarantunesima edizione di Umbria Jazz (ebbene sì: io c’ero!): un Al Jarreau già provato nel fisico ma non nello spirito si esibisce per l’ultima volta al Festival perugino (ci lascerà nel 2017), come secondo protagonista di una ricca serata chiusa da Mario Biondi e aperta, guarda la coincidenza, proprio dai Take 6. Ma cos’hanno in comune, a livello artistico, i sei funamboli dell’Alabama – forse i migliori al mondo, quanto ad armonie vocali – e il grande cantante di Milwaukee, al quale hanno deciso di dedicare un tributo? Almeno due cose molto importanti. Partiamo da una peculiarità che unisce entrambi a un altro indimenticabile artista – appartenente a contesto musicale molto diverso – che ho citato nel titolo dell’articolo (Cantare la voce è un suo celebre album), cioè Demetrio Stratos: l’elevazione della vocalità allo stato di arte sublime, apicale; la voce che, oltre a cantare parole, si fa strumento; la voce che, esplorata in tutte le sue sfaccettature, dimostra la sua enorme versatilità e varietà, spingendosi anche oltre i limiti delle possibilità umane (come nel caso di Stratos). Fortemente convinti di ciò, i Take 6 hanno cominciato alla fine degli anni ottanta come gruppo a cappella, una scelta artistica che, di fatto, pur essendosi un po’ “ammorbiditi” in seguito, aprendo all’utilizzo degli strumenti, portano avanti ancora oggi. Al Jarreau, pur non essendo stato un cantante a cappella, è ascrivibile a pieno titolo nel novero dei grandi “cantori della voce”, grazie all’incredibile varietà di “colori” che riusciva ad esprimere e alla padronanza assoluta della tecnica dello scat. L’altro elemento che unisce questi artisti è l’assoluto eclettismo con cui riescono a muoversi tra vari ambiti musicali: jazz, r&b, soul, pop e, specie nel caso dei Take 6, anche gospel. Direi che possa bastare…

Dopo la riuscita partecipazione alla grande festa per Quincy Jones nella serata d’apertura di UJ18, i Take 6 si sono presi un palcoscenico tutto per sé, quello dello splendido Teatro Morlacchi, per omaggiare lo scomparso Al Jarreau. Un omaggio non canonico, a dir la verità, perché di pezzi del repertorio di Jarreau i “6” ne hanno proposti solo due, in apertura (con la classica We’re in this world together) e chiusura di concerto. In mezzo, black music e composizioni proprie, eseguite in pieno spirito “jarreauiano” (scusate l’acrobazia verbale), cioè con energia, divertimento (“HAVE FUN”, raccomandava sempre Jarreau al suo pubblico) e virtuosismi vocali a profusione.

Tra le sei voci perfettamente in armonia tra loro, con i bassi del poderoso Alvin Chea, i vocalizzi di Mark Kibble e Claude V. McKnight III, i ritmi & rumori di Khristian Dentley, le armonie di David Thomas e Joey Kibble, hanno trovato spazio anche gli strumenti (pianoforte, tastiera e chitarre), suonati dagli stessi Take 6 senza mai rubare la scena, ovviamente, alle parti vocali. Tra i brani in scaletta, Overjoyed di Stevie Wonder e la trascinante Got to get you into my life dei Beatles, divenuta patrimonio della musica black grazie alla celebre rilettura degli Earth, Wind & Fire (forse persino superiore all’originale); dal proprio repertorio i Take 6 hanno proposto, tra le altre, la “swingante” Wade in the water (dall’album Beautiful world del 2002), invitando il pubblico a cantarla con loro, e lo spiritual Family of love (da Feels good, 2006); poi anche un ricordo di Miles Davis (Seven steps to heaven), l’intramontabile Stand by me e un velocissimo e spiritoso medley delle canzoni di Michael Jackson. Per l’acclamato bis i sei hanno posato i microfoni e gli strumenti per tornare all’essenzialità degli esordi e incantare con una toccante Halleluja.

 Esaltati dal contesto unico di Umbria Jazz, loro habitat naturale, i Take 6 hanno offerto una grande esibizione, creando un’atmosfera gioiosa e giocosa (amplificata dai dialoghi e dalle gag col pubblico tra un pezzo e l’altro) che, se soltanto avesse potuto assistere, sarebbe piaciuta al grande Al.

Francesco Vignaroli

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