All’Anfiteatro Festival di Albano, con La Ballata dei senza tetto, i conflitti e le ragioni degli ultimi. Intervista con Ascanio Celestini, a cura di Paolo Leone

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Ascanio Celestini sarà all’Anfiteatro Festival di Albano il 4 agosto. Uno dei più grandi protagonisti del teatro di narrazione ci ha concesso questa intervista. Buona lettura.

Ascanio, sembra fatto apposta e invece è un puro caso: stiamo registrando questa intervista nel giorno dell’anniversario del bombardamento del quartiere San Lorenzo a Roma (19 luglio – nda), il cui racconto hai inserito in spettacoli di successo come Scemo di guerra, ad esempio. Vorrei un tuo pensiero sull’importanza della testimonianza diretta rispetto a quella storiografica.

Il bombardamento di San Lorenzo, insieme all’eccidio delle Fosse Ardeatine, è uno dei due grandi eventi della seconda guerra mondiale a Roma, sono uno lo specchio dell’altro. Il bombardamento di San Lorenzo è stato l’evento visibile e subito raccontato, nel senso che il racconto è cominciato addirittura prima che il bombardamento finisse, perché tra una scarica e l’altra le persone scappavano e potevano raccontare ciò che stava accadendo. Un evento quindi entrato subito nella narrazione orale, al punto che molti ne parlano pur non avendolo vissuto direttamente sulla propria pelle. Mia madre, ad esempio, per parlare di San Lorenzo racconta di una bomba che cadde a Torpignattara. Ci si sente parte di quell’episodio tragico. Diverso invece per quanto riguarda le Fosse Ardeatine, di cui molte cose le abbiamo sapute dopo. Nel frattempo erano nate vulgate, leggende, a tal punto che ancora oggi il fatto storico delle Fosse viene raccontato anche al contrario, utilizzato per dare la colpa ai partigiani per l’attentato di Via Rasella e cancellare una storia della città che invece era fondamentale allora e tanto più importante adesso, cioè l’antifascismo di Roma. Una città che ha resistito all’occupazione nazista e che in parte si è anche liberata da sola, nel senso che tra il dicembre del 43 e il giugno del 44, di fascisti se ne vedevano pochi in strada. Anzi, gli stessi tedeschi si facevano vedere poco in giro e imponevano ai fascisti di non esporsi perché odiati. Si cominciò a sapere qualcosa dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, accaduto in marzo, durante l’estate. Fu un rito quasi privato, ci vollero molti anni per ricostruirlo.

Foto Lucia Baldini

E quindi, su che piano si muovono la testimonianza orale e quella storiografica?

Abbiamo bisogno di entrambe e bisogna fare una distinzione. La storiografia, gli storici, cercano di arrivare ad una definizione unica. Tra le diverse missioni, fondamentale è quella di capire come si sono svolti i fatti, cercando di astrarsi dalle opinioni. Chi invece fa indagini nelle storie orali, nei racconti delle persone, deve inevitabilmente tener presente che ogni persona ha la sua personalissima memoria, delle sue motivazioni, e quindi ha anche il bisogno di cambiarla la storia. Il fratello gemello di Piero Zuccheretti, il bambino che è morto durante l’azione partigiana di Via Rasella a Roma, non può avere un’idea positiva dei partigiani, è assolutamente comprensibile. Questo suo diritto non cambia la storia della città. Fu un’azione di guerra come tutte le altre, dal punto di vista storiografico. Ecco, chi fa indagine nelle storie orali, deve sapere tutto questo e anche che le memorie in contrasto l’una con l’altra rappresentano un valore.

Ascanio, veniamo allo spettacolo che porterai all’Anfiteatro Festival di Albano il 4 agosto: La ballata dei senza tetto. Da più parti si legge che questo è un atto della trilogia iniziata con Laika e proseguita con Pueblo. Ci spieghi quali storie incontrerà il pubblico dell’Anfiteatro?

Si, una trilogia che in realtà è un’unica storia, perché l’unità dei racconti è data dal luogo. Ho immaginato un pezzo di una periferia urbana, che può essere in ogni dove, e la drammaturgia che tiene insieme le storie, non è in realtà un racconto, bensì un luogo. Un parcheggio di un supermercato, dove lavorano dei facchini. E in quel luogo si incontrano delle persone e tutto gira intorno a quel parcheggio. Per me la drammaturgia della trilogia a cui hai accennato, somiglia molto a quella che è l’esperienza personale, di una persona che vive in un territorio (una borgata in questo caso ma può essere ovunque) e che, alla fine, nel corso della vita una sua drammaturgia se la fa. Vede, osserva, incontra persone, nota i cambiamenti, ce l’ha un suo film in testa, diciamo così.

E nello specifico de La ballata dei senza tetto?

Ecco, in Ballata, di tutte le storie di questo film personale, ne racconto tre. Tre personaggi che sono un barbone, una prostituta e poi un facchino italiano che è molto vicino alla cronaca di questi ultimi tempi, che racconta il suo odio per gli zingari ma che è un odio tutto suo, tutto personale, motivato da accadimenti della sua vita. Ti dirò, mi è successo qualche sera fa che durante questo racconto delle persone se ne sono andate, altre mi hanno scritto chiedendomi spiegazioni, pensando che fossi io Ascanio ad esporre certe argomentazioni! E’ chiaro che io non condivido quello che dice il personaggio, ma in lui io cerco di esporre le sue motivazioni, anche sacrosante, della sua intolleranza. Alzare i muri non va bene, ma nei confronti di chiunque.

I tuoi spettacoli sono molto seguiti e apprezzati dal pubblico giovane, che latita nei teatri del sistema ufficiale, mentre l’età media si abbassa notevolmente nei teatri off. Cosa dovrebbe succedere nel sistema teatrale per avvicinare i ragazzi all’arte del teatro?

Purtroppo c’è stata una politica devastante per il teatro. Molto spesso le scelte sono state motivate da un pensiero che ha prevalso e cioè “se le persone vogliono andare a teatro, il modo e la maniera lo trovano”. Come a dire, se vuoi comprarti un libro te lo compri, se spendi 20 o 30 euro per andare allo stadio, puoi spenderli anche per andare a teatro. Una politica che è stata totalmente perdente perché in questi anni, soprattutto grazie ad una cultura che è stata molto incentivata dal web, abbiamo avuto accesso gratuito ad una quantità sterminata di materiale audiovisivo. Per dire, tante persone dicono “ah bella questa applicazione per il telefono, ma costa un euro e cinquanta, non la pago”. Capisci? Tra gratis e un euro e cinquanta c’è una barriera insormontabile, c’è una cultura del tutto e subito che in questo momento è impossibile combattere. Il teatro è stato vincente, spesso nei piccoli centri, in presenza di un coordinamento diretto tra chi organizzava, le istituzioni, il pubblico, in cui si è detto: il teatro deve essere gratis come l’acqua della fontanella. Che poi, se pensi che noi a Roma abbiamo la sindaca che le ha chiuse…un’aberrazione, vabbè. Io lo dicevo diversi anni fa: abbiamo l’acqua del rubinetto che paghiamo pochissimo, e spesso la sprechiamo, c’è se vogliamo l’acqua minerale al supermercato, per chi vuole regalare soldi alle grandi aziende, e poi c’è l’acqua delle fontanelle. Ecco, la cultura deve essere così. A pagamento, oppure a un prezzo popolare, ma anche gratis. Questo è un momento storico in cui dovremmo aprire le fontanelle della cultura. Ma non per forza solo gratuitamente. Lì dove le istituzioni hanno adottato questa politica, dosando queste tre “acque culturali”, il teatro ha attratto i giovani. Loro sentono molto questo modo di fare, per cui tra una birra e un panino con gli amici, o spendere 20 euro per vedere Celestini, scelgono il panino e magari vanno a vedere un altro spettacolo gratis a 20 km di distanza.

Foto Lucia Baldini

Ti faccio una domanda un po’ provocatoria. Questa città si sa ancora raccontare? Io la trovo sempre più una città chiusa, aggressiva, becera. Tu come la vedi?

Si, in effetti sta diventando molto aggressiva. Mi sembra che stia ricalcando paradossalmente un clichè di fine anni settanta, dove era diffusa l’idea che era meglio non andare in giro, meglio starsene chiusi in casa, mentre poi continuava invece ad essere una bella città da vivere. Oggi la città e il Paese sono sicuramente, i dati parlano chiaro, più sicuri di allora, ma la percezione è diversa nonostante i numeri sugli omicidi, per esempio, siano clamorosamente più bassi rispetto alla fine degli anni 90.

C’è però una percezione diversa.

Assolutamente si, ma perché? Qui si è rovesciato il mondo da questo punto di vista. Se una volta si diceva che gli intellettuali dovevano prendere l’autobus per capire mentre la casalinga di Voghera conosceva la realtà, oggi non è più così, perché la casalinga conosce la realtà tramite facebook. I dati sono dati, la casalinga non può dirmi il contrario perché convinta della sua personale verità. E quando sta sul tram, le dico di togliere le cuffiette dalle orecchie e il naso dallo smartphone e di guardarsi attorno. Chi è che ha perso il legame con la realtà? Gli intellettuali, quelli seri, che ci provano, o questa gente che vive su Marte, il cui unico aggancio al reale è facebook e il supermercato dove tutto è uguale per tutti? Spegniamo i telefoni, stacchiamoci dai social e facciamoci una passeggiata insieme. Vince la paura, siamo stati anestetizzati. Questa è l’epoca, come diceva Santiago Lopez Petit, un altro intellettuale, del “dire niente con rabbia”. C’è una grande rabbia, una grande violenza, si urla. Ma si urla il niente. La rete, o meglio chi la sta gestendo facendoci un mucchio di soldi oltretutto, sta dando alla gente motivi per cui essere arrabbiata. A me sono arrivati a scrivere: “vuoi salvare i bambini nei barconi e poi sei a favore dell’aborto!” Capisci che diventa complicato, io ci provo a fare dei discorsi seri anche con la gente accecata dalla rabbia, ma non è facile.

Alla luce di tutto quel che hai detto, chi sono i senza tetto della tua Ballata?

Ecco, sono le persone da cui ripartire. Gli ultimi, quelli che una voce non ce l’hanno. Non solo quelli che faticano ad arrivare a fine mese, ma quelli che il mese nemmeno lo iniziano. E’ bello che Di Maio parli coi lavoratori che consegnano il cibo a domicilio, ma questo tipo di precarietà c’è da vent’anni. Io mi occupai dei call center, dove le condizioni sono davvero allucinanti. Lavoro a cottimo, vietato, assunzioni a progetto senza il progetto  e via discorrendo. Interviste che feci nel 2002, ma ci sono fior di studi sui lavoratori dei supermercati, di Ikea, sui facchini della grande distribuzione. Puoi anche dire che non esiste più la lotta di classe, ma in una società divisa in classi, il conflitto tra queste c’è eccome. Esiste, anche se non hai mai letto Marx.

Paolo Leone

Foto copertina Alessandro Pone

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