Il trionfo del Barocco nella cappella San Severo nel cuore della  Napoli velata , resa esoterica dal massone  Raimondo di Sangro

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Situato nel cuore del centro antico di Napoli, il Museo Cappella Sansevero è un gioiello del patrimonio artistico internazionale. Creatività barocca e orgoglio dinastico, bellezza e mistero s’intrecciano creando un’atmosfera unica, quasi fuori dal tempo.  Gotica ed algida dall’esterno ma appena si entra si viene avvolti in un barocco tutto napoletano.

Una leggenda vuole che la chiesa, oggi sconsacrata, sia stata eretta su un preesistente antico tempio dedicato alla dea Iside. Un’altra narra che un uomo arrestato ingiustamente, mentre veniva condotto in carcere, costeggiando il muro della proprietà dei Sansevero, si votò alla Santa Vergine. Improvvisamente, parte del muro crollò, rivelando un dipinto (quello posto nella cappella in cima all’altare maggiore) proprio della Vergine invocata, una pietà che darà poi il nome alla chiesa. La devozione dell’arrestato non fu riposta invano: poco tempo dopo, l’uomo venne infatti scarcerato, e, memore del miracolo, fece restaurare la Pietà, disponendo che al suo cospetto ardesse per sempre una lampada in argento.

 Il luogo sacro divenne presto meta di pellegrinaggio popolare e oggetto di invocazioni. Anche il duca di Torremaggiore, Giovan Francesco di Sangro, colpito da una grave malattia si votò a questa Madonna e in seguito avendo recuperato la salute fece erigere la piccola cappella di Santa Maria della Pietà, comunemente detta la Pietatella. Secondo studi recenti, la vera origine della cappella sarebbe invece da far risalire all’omicidio, compiuto nella notte tra il 16 ed il 17 ottobre 1590 da Carlo Gesualdo da Venosa, in cui morirono Maria D’Avalos, moglie di Carlo Gesualdo, e l’amante di lei Fabrizio Carafa, figlio di Adriana Carafa della Spina, moglie in seconde nozze di Giovan Francesco di Sangro. In seguito a questo lutto, la madre di Fabrizio Carafa avrebbe fatto edificare la cappella, pensandola come voto alla Madonna per la salvezza eterna dell’anima del figlio.

Comunque è  accertato che i lavori per la costruzione della chiesetta iniziarono nel 1593. Vent’anni più tardi Alessandro di Sangro (figlio di Giovan Francesco), decise di ampliare la preesistente, piccola costruzione, per renderla degna di accogliere le spoglie di tutti i di Sangro, come testimoniato dalla lapide marmorea datata 1613 posta sopra l’ingresso principale dell’edificio. L’assetto del tempio gentilizio venne poi stavolta quasi integralmente da Raimondo di Sangro nel Settecento.

Qualunque sia tra questa la vera storia della nascita di questa cappella, sta di fatto che dietro si nasconde un alone di irrimediabile mistero, intrinseco in una bellezza senza tempo e di cui non si può spiegare tutt’oggi il fascino che essa emana.

Noto per la statua del Cristo velato (Giuseppe Sanmartino, 1753), la cui immagine ha fatto il giro del mondo per la prodigiosa “tessitura” del velo marmoreo, il complesso museale rappresenta uno dei più singolari monumenti che l’ingegno umano abbia mai concepito.

A rigor di logica, e visto il da poco passato Natale, sarebbe inesatto pensare che l’unica opera di Sanmartino sia il Cristo velato: infatti nella Domus Ars, vicino il monastero di santa Chiara, vi è un Bambin Gesù, conservato tutt’oggi in perfette condizioni che viene esibito durante la famosa opera natalizia della Cantata dei Pastori.

Il Cristo velato ispira anche l’arte attuale e non si parla solo dell’arte barocca. Nel 2017 è uscito il film Napoli Velata, diretto da Ferzan Özpetek, con protagonisti Giovanna Mezzogiorno e Alessandro Borghi, affiancati da Anna Bonaiuto, Peppe Barra, Luisa Ranieri, Maria Pia Calzone, Lina Sastri e Isabella Ferrari.

Il lungometraggio narra le vicende di Adriana, medico legale, che si infatua di un giovane uomo con cui aveva passato una notte di passione; quando lui sarà ritrovato ucciso, la dottoressa inizierà ad indagare sull’omicidio, ma soprattutto su di sé e sul suo passato, in una Napoli sacra, profana e piena di segreti.

Lo straordinario valore storico-artistico e l’attenta gestione privata hanno reso il Museo Cappella Sansevero una tappa imprescindibile per i turisti e gli appassionati d’arte: i visitatori paganti, in crescita costante negli ultimi anni, sono passati dai 200mila del 2012 agli oltre 660mila del 2018, nuovo record storico del museo. Soldi spesi benissimo quelli spesi per arricchirsi culturalmente.

Raimondo di Sangro principe di Sansevero fu uno degli uomini più eclettici del suo tempo, figlio di quel razionalismo illuminato che invase il mondo occidentale durante il 1700. Tra i suoi innumerevoli interessi vanno annoverati l’alchimia e l’esoterismo, i quali gli provocarono l’appellativo di principe “diabolico” mentre era ancora in vita. Il 24 Ottobre del 1750, durante una cerimonia organizzata nella villa di Gennaro Carafa a Posillipo, Raimondo fu proclamato Grande Maestro della Massoneria napoletana. Nel 1751 il principe fu però costretto a rinunciare alla carica per colpa delle severe pressioni derivanti dal mondo ecclesiastico e politico, che gli valsero, tra le altre cose, la chiusura della tipografia privata. Come fare quindi a trasferire il suo messaggio agli adepti? Raimondo progettò una complessa iconografia per arricchire la cappella di famiglia, la Cappella Sansevero, ingaggiando i migliori artisti dell’epoca per realizzare quello che può essere definito un vero Tempio Massonico.

Nonostante siano passati quasi 250 anni dalla sua morte avvenuta nel 1771, c’è chi giura che a Napoli, quando se ne pronuncia il nome, ancora oggi qualcuno si fa il segno della croce di nascosto per scacciar via il timore che questo misterioso personaggio continua ad incutere.  Napoli in fondo è la città scaramantica per eccellenza e va riconosciuta cosi nel mondo.

La Cappella è comunque un luogo funereo,  pieno di tombe ed è questo uno dei motivi per cui non vi è possibile scattare foto al proprio interno ( nemmeno senza flash). Sarebbe irrispettoso, se pensate, scattare delle foto dove stanno riposando per il sonno eterno tante anime.

Vediamo ora quali sono i  simboli massonici più importanti della Cappella Sansevero.

Iscrizione del portale di ingresso: la lapide marmorea del portale laterale, un tempo entrata principale, esprime la volontà di dare indicazioni al viandante su come muoversi prima di intraprendere il cammino iniziatico. L’iscrizione in latino esorta un ipotetico viandante a rendere omaggio al Tempio con una certa consapevolezza, con gli occhi attenti di chi è in grado di vedere e percepire il messaggio nascosto dietro i suoi monumenti.

Gloria del Paradiso: l’affresco che copre il soffitto della Cappella Sansevero è opera del pittore Francesco Maria Russo e risale al 1749. All’interno di una visione paradisiaca in stile barocco si nota la figura di una colomba con un triangolo dorato attorno al capo. Questo elemento, se nell’universo cristiano rappresenta la trinità, ha dei significati nascosti che vanno letti in chiave alchemico – massonica. La forma triangolare è identificabile con lo zolfo, abbinato dagli alchimisti al fuoco (lo spirito vitale, la luce celeste). Il triangolo è la forma delle piramidi egizie, e nella massoneria sta ad indicare la carica di Maestro Venerabile.

Monumento a Cecco de Sangro:  è posto sopra l’ingresso principale della Cappella e ricorda il primo principe di Sansevero, Cecco de Sangro. Lo scultore è Francesco Celebrano e l’opera fu realizzata nel 1766. Il monumento ha un significato simbolico importante, poichè a differenza di altri monumenti sepolcrali, il defunto non viene celebrato con rappresentazioni di virtù ma attraverso la presentazione di una vicenda storica realmente accaduta. Cecco di Sangro, infatti, sarebbe rimasto chiuso in un sarcofago, fingendosi morto, per due giorni al fine di ingannare e sconfiggere i nemici durante la campagna bellica delle Fiandre nella guerra degli ottant’anni. E’ importante sottolineare l’attimo preciso in cui viene rappresentato il personaggio, cioè il momento della rinascita. Dopo la morte apparente, Cecco salta via dal buio della sua tomba e rivive di nuovo, più forte di prima.

Il bassorilievo del Disinganno: Il Disinganno, opera di Francesco Queirolo risalente alla metà del 1700, è dedicata al padre di Raimondo, Antonio di Sangro. Così come il velo del Cristo, anche la rete da pescatore che avvolge la figura sembra aver subito un processo di pietrificazione ad opera di stravaganti invenzioni. Antonio di Sangro fu un uomo che visse una vita dissipata, fino a quando non trovò rifugio nella fede. La rete, infatti, va letta come un riferimento alle bassezze terrene dal quale l’uomo tenta di svincolarsi. L’elevazione spirituale è maggiormente descritta nel bassorilievo della scultura in cui è presente la scena di Cristo che dona la vista al cieco accompagnato dalla scritta “Qui non vident, videant”, “Coloro che non vedono, vedranno”. Il luogo sullo sfondo è il Tempio di Salomone a Gerusalemme, luogo di importanza cristiana ma anche massonica dal momento in cui  vi nacque la tradizione iniziatica del mito di Hiram. Il messaggio è chiaro: soltanto il Maestro, se si avrà fede, potrà donare gli strumenti per “vedere”.

Marco Assante

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