Iacchetti e Quartullo nei panni di attori sfortunati al 53° Festival di Verezzi

Data:

Domenica 28 luglio 2019 al Festival di Borgio Verezzi di Savona

La prima nazionale di “Hollywood Burger” di Roberto Cavosi, al 53° Festival teatrale di Borgio Verezzi, Enzo Iacchetti e Pino Quartullo non la scorderanno mai: sotto allerta arancione è slittata la serata di sabato 27 luglio e la compagnia ha optato per due messe in scena consecutive domenica 29, la prima alle 19.30, la seconda alle 22 (che è quella che recensiamo).
L’ambientazione è in una mensa per artisti degli ‘Studios’ di Hollywood, sullo sfondo una tela con la collinetta tanto famosa da cui sembreranno sgusciare i colori evocati dal dialogo, alla sinistra un moderno bancone da bar e al centro tanti tavolini (scene di Andrea Stanisci).
Quartullo anche regista, nei panni di Leon, è costretto a rubacchiare dai salvadanai delle mance il denaro per pagarsi il suo hamburger: è un attore sfortunato, che cita il nome di battesimo degli artisti più famosi a ogni risposta, per darsi lustro e potersi vantare della loro amicizia (oggi li chiamano name-dropper). Scopriremo poi che ha perso la moglie cieca, ha litigato con i figli anche per la spartizione delle ceneri e ha falsificato la tessera per continuare a frequentare quei locali, perché è troppo tempo che non lavora più. Quello che ha caratterizzato la carriera di Leon sono le sue parti irriconoscibili: un ominide in “2001 Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick (ed ecco che i figli li chiamerà “Stanley” e “Kubrick”), uno spermatozoo in “Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso”, un orango nel “Pianeta delle scimmie”.
Anche Iacchetti-Burt è un attore sfortunato: giunge in mensa con l’idea di stare da solo, ed è trascinato suo malgrado a fare conversazione. Lui è perennemente tagliato in fase di montaggio, anche se il regista lo cerca e lo trascina sul film convincendolo che sia l’unico in grado di interpretare quel personaggio in quel contesto… Macché! Ricordate la battuta più famosa di “Casablanca”: ‘Suonala ancora, Sam’? Ebbene, era la sua, tagliata per la sua parte, mentre accordava il pianoforte, poi gliela rubò Humphrey Bogart. Vendeva preservativi agli Apostoli in “Jesus Christ Superstar”, ma poi si decise che era cosa troppo moderna… C’è sempre stato un buon motivo per censurare quei frammenti di pellicola che potevano farlo passare alla celebrità, e così anche Burt è rimasto “fuori dalla porta”, frustrato come Leon, costretto a rifugiarsi in mensa per convincersi di far ancora parte di quel mondo.
Si scoprirà che il fratello al quale era legato si è ucciso gettandosi dalla barca (non sapeva nuotare), e poi ancora che ha saputo d’essere padre dopo dieci anni da un rapporto occasionale, e che con questo ragazzo non riesce ad avere un briciolo di dialogo. Tutte le settimane si reca al cimitero e, in ricordo del fratello morto, si cimenta con le parole incrociate.
Conversazioni sempre più tese e dirette fra Leon e Burt metteranno in luce gli aspetti più intimi della vita di entrambi, mentre il barista (Fausto Caroli) li tiranneggia con il pagamento di quanto dovuto: lui non si fa certo invischiare dai loro sogni di gloria, li valuta per quel che sono, due attori che non hanno più chance, se mai ne hanno avute, e minaccia di chiamare la sicurezza se non puliscono dove hanno sporcato.
Infatti, a far da sfondo al filo conduttore della pièce sono le molteplici salsine in barattolo che stanno sui tavoli: senape, ketchup e maionese nelle loro mille varietà, che sono anche lo strumento che l’uno porge all’altro per alleggerire il pathos di una confessione. Perché il fratello di Burt si è suicidato dopo un litigio con lui, ha avuto il suo primo rapporto sessuale con una pianista e ha commesso un errore madornale sul set: aveva sniffato un po’ di cocaina prima di recitare stupendamente bene una parte e, ebbro di entusiasmo per i commenti, aveva baciato un operatore di fronte a tutti!
Ma sono pesanti anche le confessioni di Leon, che non riusciva a dire alla moglie cieca quali fossero i suoi ruoli nei film, e le faceva credere che si trattasse di parti importanti. Così, queste sue recitazioni, tipo presentatore-zombie, venivano trasformati in modo che la consorte ne potesse essere orgogliosa (ma ci credeva davvero?), mentre i figli lo accusavano di imbrogliarla.
Un’ora e trentacinque minuti di spettacolo senza interruzioni, che avvolge lo spettatore in particolare nei momenti in cui la narrazione viene accompagnata dagli effetti luminosi (disegno luci di Bruno Guastini, strepitosi i momenti del verde-guerra, peccato un po’ isolati dai successivi). Bello quando, in un crescendo, Leon non riesce a citare un solo film al quale Burt non abbia partecipato, nemmeno “Qualcuno volò sul nido del cuculo” si salva, perché lì faceva il cuculo (e dire che Jack – Jack Nicholson s’intende, nella foga divento un po’ name-dropper anch’io – lo si evoca dall’inizio alla fine). Favolosa la scena in cui Burt svela che il figlio sia omosessuale (e che tipo di omosessuale), durante una partita di bowling: lui farà strike, cercando di inculcargli il massimo della mascolinità, ma il ragazzo nel frattempo è fuggito.
Uno spettacolo divertente, in cui è sicuramente da rivedere la modalità della battuta sui “dieci anni dopo” (leit-motiv di Burt che comprende le cose a scoppio ritardato) e forse ci sarebbe piaciuta più concretezza negli “alimenti” in scena (e non che il barista ritiri un panino immacolato). Taciamo sul finale paradossale per non rovinarvi la sorpresa, ma non sulla morale, che poggia sulle insoddisfazioni che albergano nell’animo di ognuno di noi, e che si possono superare anche grazie ai rapporti interpersonali.
Dopo gli applausi scroscianti, Quartullo ringrazia gli organizzatori, dal direttore artistico Stefano Delfino e moglie Sonia al Sindaco del Comune di Borgio: del Festival di Verezzi si parla bene in tutto lo Stivale, dice, e l’augurio è che la manifestazione possa reggere negli anni, nonostante le difficoltà economiche.
Già domani sera, intanto, un nuovo appuntamento del calendario: martedì 30 luglio, inizio alle ore 21.30, ci sarà un gradito ritorno in piazzetta Sant’Agostino: Antonio Cornacchione in “D.E.O. ex macchina”, suo anche il testo (collaborazione di Massimo Cirri), regia di Giampiero Solari; non una prima nazionale, ma uno spettacolo di sicura, esilarante verve.

Laura Sergi

Info: www.festivalverezzi.it, 019.610167

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