“PICCOLE DONNE”, UN’EPIFANIA DI BELLEZZA

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Il 2020 del Cinema è inaugurato con un film splendido, avvolgente, emozionante. Piccole donne è il nuovo adattamento del celebre romanzo di Louisa May Alcott, operato da Greta Gerwig, che lo scrive e lo dirige per il grande schermo, mostrando fin dall’incipit un piglio tutto personale, audace e sicuro. La storia delle quattro sorelle March (Jo, Meg, Beth e Amy), il rapporto tra loro e con la mamma, le ambizioni artistiche, e le peripezie sentimentali, sono raccontate dalla Gerwig partendo da una decostruzione della storia, come smontando un puzzle, attraverso flashback e continui andirivieni tra passato e presente, a favore di un intreccio meno lineare possibile ma allo stesso tempo ben amalgamato e non confusionario, che mira ad innervare la narrazione, a volte riuscendoci con potenza e grazia, a volte, forse, dimenticandosi di aspettare, facendosi prendere dalla fretta e invalidando un po’ il ritmo di alcune sequenze che ne avrebbero richiesto in dosi diverse. Ma l’approccio è apprezzabile, perché se da un lato Piccole Donne, fin da subito, ci immerge in un Cinema pregnantemente classico, fluido nei movimenti di macchina, denso di colori e aggrappato ai soliti toni tranquillizzanti, composto e piuttosto canonico nelle inquadrature (non in tutte), dall’altro la struttura stessa della sceneggiatura, e il montaggio, appunto, ci consegna un’opera pienamente dentro la modernità: il legame spigliato, divertito e divertente, tra le sorelle, è uno degli esempi più chiari. E così nostalgia e gratitudine cavalcano insieme, senza disarcionarsi, ma con prestigio e bellezza.

Piccole donne mischia la storia del racconto originale con elementi della vera vita della Alcott che la Gerwig rifugia dentro la personalità forte e decisa di Jo, dove tra l’altro si nasconde anche lei, e con lei, forse, ogni donna che respira di Arte, ed aspira ad essere un’artista, dentro quel mondo, dove l’Arte, soprattutto a quei tempi (siamo nella seconda metà dell’Ottocento), era ad appannaggio del sesso maschile: il romanzo che prende forma dalla mano e il pennino di Jo, interpretata da una carismatica Saoirse Ronan (già voluta dalla Gerwig nel suo esordio da regista, Lady Bird), altro non è che il racconto della storia sua e delle sue sorelle. Storia di momenti di vita quotidiana, di Natali felici, e feste di ballo, ma anche di momenti tristi e dolorosi; storia dell’attesa di un padre in guerra, o dell’attesa di un amore e un matrimonio, storia di gelosia e litigi. Storie semplici, a cui la scrittura, come dice Amy, dona un peso maggiore. È l’Arte che nobilita la quotidianità, la semplicità dei gesti: Jo scrive, Beth suona il pianoforte, ma ama farlo di nascosto, senza auditorio, Amy disegna, e Meg, la più grande, fa un po’ l’arte di essere mamma: così l’opera della Gerwig racconta un mondo di vita e un modo di vivere, mostra l’amore donato e quello ricevuto, le aspirazioni e i sogni, ma anche i tormenti e le lacrime. La complicità nei legami affettivi – l’amore fra uomo e donna, l’amore tra sorelle, e l’amore, come dicevamo, fra un’artista e il suo romanzo – diventa strumento di affabulazione e incanto.

La regia della Gerwig è sinuosa e calda; a volte elementare (nella scena dell’incidente al lago, per esempio), ma si percepisce la volontà di essere attenta e premurosa verso le sue piccole donne, di abbracciarle in ogni istante: tra loro emerge e impressiona l’interpretazione di Florence Pugh nel ruolo di Amy, mentre lascia ancora molto a desiderare una sbiadita e spesso caricaturale nelle espressioni e nelle movenze, Emma Watson nel ruolo di Meg. Beth è invece la più silenziosa e in disparte, quella che non ha avuto la fortuna delle sorelle, ma che sembra abitare la vita, fin da subito, con più sicurezza e determinazione di loro, e Eliza Scanlen è bravissima.

“Fai come ci ha insegnato la mamma: fallo per qualcun altro”: la Gerwig fa un film per noi, composito e incantevole, denso, colorato, non privo di difetti, ma tanto umano e semplice da essere prodigioso: un’epifania dell’Arte e della Vita.

VOTO 8 su 10

Simone Santi Amantini

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