Aldo Carpi, disegnare la sofferenza, per non dimenticare

Data:

20 e 21 gennaio 2020 Teatro Franco Parenti di Milano

Aldo Carpi pittore, insegnante, ebreo, rinchiuso nel carcere di San Vittore nel gennaio del 1944, poi trasferito a Mauthausen, e fino alla liberazione deportato a Gusen, rivive attraverso la lettura della nipote Martina del suo diario di prigionia. Ecco che la memoria si fa musica, con le note della musica composta dal figlio Fiorenzo suonate al pianoforte da Marco Mojana, si fa parole, disegni, proiezioni, atmosfera, nel ricordo di quel tempo infernale che l’artista ha subito per la sola “colpa” di essere ebreo.
Sfollato a Mondonico con la famiglia, vede arrivare una domenica mattina, era il 23 gennaio 1944, quasi un esercito di soldati armati di tutto punto, nemmeno fosse stato chissà quale criminale, e senza alcuna ragione, perché essere ebrei non è una “ragione” valida per annientare un popolo, viene portato via da tutto quello che ama e possiede. Un ultimo gesto prima della cattura, il segno della croce, e poi la via dell’ignoto.
E lui, pittore, artista, uomo sensibile e poetico, viene messo a lavorare in una cava, a spostare sassi, e nonostante la fatica e l’impossibilità ad adempiere a un compito così inusuale per lui e per questo molto estenuante, si sente fortunato ad avere un lavoro: è una via di salvezza per il Professur che si sente vecchio, vecchio ma poi pensa alla sua anima che vecchia non è, lei è libera di guardare il cielo, “a Grusen è più bello che a Mauthausen” e forse può trovare un debole soffio di ispirazione e speranza, per continuare a sopravvivere.
I suoi aguzzini gli fanno fare ritratti di famiglia, mostrandogli delle foto, e lui cerca di dipingere un mondo che non è quello che lo circonda, s’inventa paesaggi sereni e giorni perduti, facce amiche e angeli della provvidenza. Inventa quello che ha perso, quello che forse ritroverà, se riuscirà a salvarsi. Ha perso la libertà ma non la sua sensibilità d’artista, e i disegni che ritraggono scene nei campi di sterminio sono così belli, il suo talento di pittore è indubbio, che il male che vi è insito si innalza come un monito per tutta l’umanità: NON DIMENTICATE MAI.
E questo è quello che cerchiamo di fare, a distanza di anni, con tutta la buona volontà di uomini liberi e pensanti: ricordare chi ha vissuto tanta ingiusta sofferenza, riportare alla luce documenti e testimonianze, di sconosciuti e non, di chi è ancora vivo e merita il nostro rispetto e la nostra attenzione, come di chi è morto e merita il nostro ricordo.
Lasciamo che le parole di chi, dopo anni di silenzio dignitoso e riservato, si è finalmente deciso a raccontare quegli avvenimenti, per noi così difficili persino da immaginare, vibrino nell’aria, libere, potenti, che siano d’insegnamento per tutti. Non lasciamo che le loro voci si spengano soffocate dal tempo che passa, dalla fretta, dall’indifferenza, dagli atteggiamenti spavaldi di chi non crede o di chi denigra, non lasciamoci spaventare da tutto ciò.
Un giorno Carpi vide una piantina di fiori gialli su un tavolo, quello dove facevano gli esperimenti?, e la sua felicità nel riconoscere un segno di vita in quei luoghi di morte, fu tale che la sua anima provò una felicità insperata, una felicità che credeva perduta. E in quel giallo dei petali, in quel verde delle foglie fu capace di ritrovare la speranza, anche lì, anche in quel cimitero.
Non lasciamo che la memoria dell’Olocausto sia relegata a un giorno solo dell’anno, abbiamo il coraggio di alzare la testa contro l’oblio, tramandiamo alle generazioni quelle grida di dolore, quegli atti di coraggio, quelle voci che mai devono rimanere inascoltate.
Dopo la liberazione, un cartello appeso fuori dall’Accademia di Brera lo invoca come direttore. E così è stato.

Daria D.

 

Al di là del muro
Un artista nel lager
dal Diario di Gusen di Aldo Carpi
uno spettacolo di e con Martina Carpi
musiche Fiorenzo Carpi
pianoforte Marco Mojana

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