“L’Oro di Napoli”. Quattro episodi riempiti d’inventiva

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Dal 27 febbraio al 1° marzo 2020 al Teatro Trianon Viviani di Napoli

Lo spettacolo L’oro di Napoli andato in scena dal 27 febbraio al 1° marzo 2020 al Teatro Trianon Viviani di Napoli, è una riduzione teatrale a cura di Manlio Santanelli per la regia di Nello Mascia, del libro omonimo di Giuseppe Marotta, che ha avuto anche una produzione cinematografica omonima con la regia di Vittorio De Sica.

La produzione è di Nonsoloeventi – teatro Palapartenope con Attori Indipendenti, la compagnia composta da: Nello Mascia, Cloris Brosca, Gianni Ferreri, Rosaria De Cicco, Ciccio Merolla, Giovanni Mauriello, Massimo Masiello, Matteo Mauriello, Roberto Azzurro, Francesco Paolantoni, Franco Iavarone, Paola Cannatello (questi ultimi tre assenti per altri impegni artistici). A completare il cast per questa rappresentazione Ciro Capano, Giancarlo Cosentino, Roberto Mascia e Rossella Amato.

Le scene sono affidate a Raffaele Di Florio mentre i costumi sono a cura di Annalisa Ciaramella, aiuto regia Nicola Miletti.

Il binomio Santanelli-Mascia fin dagli anni ’80 è stato protagonista di alcuni dei lavori più interessanti del teatro partenopeo e nazionale. Come non fare menzione di ‘Uscite d’emergenza’ (1980) nel quale Santanelli, al suo primo lavoro teatrale, fu riconosciuto come Maestro nella Nuova Drammaturgia napoletana. Proprio in quell’opera per la regia di Bruno Cirino c’era Nello Mascia già affermato attore proveniente dalla scuola di Eduardo De Filippo.

Questo binomio ha proposto lavori come : L’isola di Sancho di Manlio Santanelli per la regia di Gianfranco De Bosio (1984);  l’ ‘Elogio della paura’ di Manlio Santanelli (1985) dove ha lasciato la regia ed interpretazione di questo e dei successivi lavori a Nella Mascia. Tra questi ‘1799’ (1989), ‘Il naso di famiglia’ (1986), ‘Un autobus tutto speciale’ (19997), ‘Andate all’Inferno! (Per me si va dove volete voi)’ (1998),’ Un eccesso di zelo’ (2007).

Questa accoppiata, essenza del teatro partenopeo e nazionale, non poteva tralasciare l’essenza dell’anima di Napoli, quella descritta nelle parole di Giuseppe Marotta nel libro edito nel 1947. Già Marotta parla attraverso racconti, quelli tratti dagli elzeviri (articoli di fondo di notizie cittadine) pubblicati dal Corriere della Sera, della vita di Napoli e dei suoi vicoli, ma il prezioso tesoro che lo scrittore scopre tra i calcinacci del rione Sanità, è la pazienza, l’illimitata capacità dei napoletani di accettare la vita.

Santanelli prende come base per la sua narrazione teatrale quattro episodi, ‘Il guappo’, ‘Il professore’, ‘Pizze a credito’, ‘I giocatori’, rispetto ai 36 del libro e dei 6 del film, ma li rimpasta arricchendoli di sfaccettature, inserimenti di camei di altri episodi come ‘Il vedovo’, riuscendo in una narrazione leggera ma corposa. Il tutto con la musica come sottofondo e protagonista con brani tratti dal repertorio classico napoletano, che hanno visto interpreti egregi Massimo Masiello (Mare verde di Marotta-Mazzocco, Rose, A’ Maronna e ll’Arco) e Ciro  Capano (O’ cinematografo di E.A.Mario già cavallo di battaglia di Mario Merola, O’mast di Petrucci – De Caro – Mammone – Palligiano).

Giovanni Mauriello ed alla sua voce preziosa (famosa da quando fondò la Nuova compagnia di Canto Popolare nel 1967, riproponendo l’antico scrigno del repertorio antico napoletano) è affidato il ruolo di Saverio, il pazzariello del quartiere vessato dal boss Don Carmine (Ciro Capano), che interpreta brani ed intermezzi nei quadri studiati dalla regia di Nello Mascia. Supportato dal coro delle belle voci di Matteo Mauriello (con l’esperienza di numerosi lavori sul teatro partenopeo) e Rossella Amato (donna Sofia la pizzaiola che non fa rimpiangere in bellezza la Loren del film di De Sica).

Mascia firma una regia nella quale gli episodi sono fluidi, con trovate di quadri scenici come il pranzo per il vedovo rappresentato come il famoso Cenacolo di Leonardo, il pubblico ludibrio della pizzaiola traditrice con smascheramento direttamente dal talamo, ed ancora quello delle carte da gioco come finale, nel quale tutti gli attori in scena giocano accanitamente con le carte della vita.

A don Ersilio il professore, interpretato dallo stesso Mascia, l’autore Santanelli, affida monologhi sul pensiero e filosofia napoletana attraverso la fisica quantistica, tramutando il pensiero in un pensone, il tempo visto attraverso la caffettiera napoletana, l’amore e rispetto per il teatro diretto allo spettatore in quello finale. Piccole licenze che donano allo spettacolo un momento di riflessione senza togliere leggerezza alla trama.

Per il famoso pernacchio di don Ersilio al nobile arrogante, impossibile eguagliare quello di Eduardo, tanto da essere proposto in riproduzione acustica.

Deliziosi i quadretti interpretati da Rosaria De Cicco e Cloris Brosca, la Rosaria e Concetta devote della Madonna di Montevergine o Mamma Schiavona (la prima) e della Madonna di Pompei (la seconda), dove i piccoli litigi giornalieri ora per l’esposizione del quadretto votivo, ora per il giorno del bucato, finiscono in una intrezzata con le scope, ben congeniata ed interpretata.

A Roberto Azzurro il ruolo del marchese giocatore, questa volta con avversario immaginario, che lo ha visto impegnato in un monologo dalla caratura emotiva degna delle performance dell’attore, che ricordiamo in quella di ‘Scarrafunera’ di Cristian Izzo.

A Gianni Ferreri il ruolo di don Vito il pizzaiolo, marito tradito anelante la vendetta, che interpreta con scioltezza e padronanza.

Da sottolineare la colonna sonora a cura di Ciccio Merolla, che arricchisce le musiche interpretate dagli attori talvolta con inserti rap, altre sono di sua scrittura come Song e’ Napule, accompagnato alle tastiere da Mariano Bellopede ed al basso da Davide Afzal.

La scenografia su sfondo fisso di Raffaele Di Florio, è basata sulla buona riproduzione del palazzo nobiliare, dalle cui finestre e porte dei bassi, si alterna la vita dei personaggi, consentendo il movimento scenico degli attori.

Lo spettacolo corale dove spesso tutti i protagonisti sono contemporaneamente in scena, rispecchia la realtà quotidiana di Napoli, quella che ha la forza di sopportare le tante vicissitudini, con pazienza, con rassegnazione.

L’interpretazione della compagnia degli Attori Indipendenti, risalta lo stesso intento della loro unione, quello di resistere al degrado culturale restituendo all’attore la dignità e la centralità dell’attività creativa.

I nomi che la compongono son già scritti nell’ambito della tradizione teatrale partenopea, in quanto ognuno di essi ha portato in scena, egregiamente, un lavoro, una testimonianza di questo patrimonio artistico, donando al pubblico un lavoro godibile e molto apprezzato, vista la notevole presenza in teatro di pubblico, nonostante il periodo di preoccupazione di contagio virale.

L’amore per il teatro, specie quello della tradizione partenopea, val bene il coraggio di uscire di casa, assistere ad uno spettacolo e salutare affettuosamente gli interpreti a fine spettacolo, senza mascherine.

Laura Scoteroni

Foto Pasquale Fabrizio Amodeo

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