“Una giornata uggiosa”: i 40 anni dell’ultimo disco della coppia Mogol/Battisti

Data:

LO SCOPRIREMO SOLO VIVENDO” (da Con il nastro rosa)

PERCHE’ NON SEI UNA SFERA / DOVE GUARDARE IL MIO FUTURO SORRIDENTE?” (da Perché non sei una mela)

MA CHE SAPORE HA UNA VITA MAL SPESA?” (da Una giornata uggiosa)

Febbraio 1980: esce Una giornata uggiosa, ultimo atto del formidabile sodalizio artistico Mogol/Battisti che nell’arco di un decennio aveva rivoluzionato la musica italiana. La notizia della rottura creò sconcerto sia tra i fan che tra i critici, e certo nessuno – tranne forse le persone più vicine ai due – se lo sarebbe mai aspettato, visti anche i recenti successi discografici (su tutti Una donna per amico) della coppia: un vero e proprio fulmine a ciel sereno! Eppure, alcuni segni premonitori c’erano stati, alcune crepe si erano intraviste. Un esempio: nel corso della celebre intervista rilasciata alla Radio Svizzera Italiana il 19 maggio 1979, la sua ultima in assoluto, Lucio Battisti aveva ammesso che, negli ultimi anni, il suo rapporto con Mogol si era raffreddato, e più che l’amicizia, a tenerlo in piedi erano state le esigenze artistiche. Ma ormai stavano divergendo anche quelle (“SONO GIA’ DA UN’ALTRA PARTE”)…

Volendo tentare di individuare approssimativamente l’inizio della crisi, potremmo ipotizzare che qualcosa si sia rotto nel periodo successivo alla pubblicazione di Lucio Battisti, la batteria, il contrabbasso, eccetera (1976): si tratta dell’ultimo disco di Lucio registrato in Italia e con musicisti italiani. In seguito, la forte determinazione di aprirsi al mercato anglosassone e il desiderio di cambiamento hanno portato Battisti prima negli Stati Uniti (per Io tu noi tutti e Images), poi in Inghilterra, dove, sotto la guida del produttore e arrangiatore Geoff Wesltey, sono stati realizzati Una donna per amico (1978) e Una giornata uggiosa, opere che certificano il raggiungimento di quel sound internazionale tanto desiderato dall’artista, ma anche, forse, una certa insofferenza verso una dimensione artistica fattasi troppo stretta.

Trainato dall’irresistibile ritmo disco della title track, Una donna per amico è l’ennesimo (ma ultimo) trionfo battistiano; un album-capolavoro, che vanta gioielli del calibro di Prendila così (forse la canzone più bella dell’intero repertorio Mogol/Battisti), Nessun dolore e Perché no. Dopo un disco del genere, era difficile pensare che la collaborazione fosse agli sgoccioli, per quanto l’imminente arrivo del nuovo decennio, con il suo enorme carico di cambiamenti sociali e culturali (quindi anche musicali), rappresentava indubbiamente una sfida ardua e piena di incognite, e imponeva un rinnovamento/ripensamento per restare al passo con i tempi e mantenersi sulla cresta dell’onda. Visto come sono andate le cose, non sapremo mai se la coppia avrebbe resistito all’onda d’urto degli anni Ottanta: Una giornata uggiosa rimane la loro unica testimonianza artistica di quel periodo, arrivata giusto in tempo per salutare il nuovo decennio. Da lì in poi, Battisti proseguirà per un po’ da solo (E già, 1982), prima di tuffarsi nell’avventura panelliana che rappresenterà la fase finale della sua carriera, interrotta dalla prematura scomparsa nel 1998; Mogol, invece, continuerà a scrivere per artisti del calibro di Riccardo Cocciante, Zucchero, Mango e Gianni Bella.

Generalmente poco amato dalla critica per via della produzione “pesante” di Westley e per i testi – incentrati ancora prevalentemente su tematiche sentimentali – di un Mogol senz’altro non all’apice dell’ispirazione, Una giornata uggiosa è comunque un disco tutt’altro che minore nella discografia di Battisti, e un’opera ricca di idee musicali da riscoprire e apprezzare. Pur in mezzo ad arrangiamenti belli carichi – che alcuni definirebbero “pomposi” -, la voce di Lucio non si smarrisce mai, mantenendo sempre il centro della scena e dimostrando di saper nuotare perfettamente anche nell’inusuale “mare sintetico” delle tastiere imposto dal produttore. In questo senso, Una giornata uggiosa costituisce un unicum nel percorso artistico battistiano fino a quel momento, una curiosa variazione sul tema per una voce solitamente abituata a tappeti sonori più morbidi e meno invadenti. L’unico precedente è probabilmente riscontrabile nelle ardite scelte di missaggio operate in Anima latina, disco sperimentale in cui il canto, volutamente lasciato da Battisti alla pari (se non in secondo piano) rispetto agli strumenti, si confondeva con la musica rendendo a tratti difficoltosa la comprensione delle parole, che richiedevano perciò un ascolto attentissimo e ripetuto per essere afferrate: un’altra invenzione geniale, che però non mancò di provocare contrasti – forse i primi in assoluto tra i due – tra lo stesso Battisti e Mogol, che non condivideva tale scelta.

L’atipicità di Una giornata uggiosa si manifesta già in apertura, con l’insolito inizio grintoso de Il monolocale, in cui la voce di Lucio si inerpica pericolosamente per ripide salite, lamentando le “pene immobiliari” di una coppia tradita da quel “MALEDETTISSIMO ZIO” che “L’APPARTAMENTO NON LO PRESTA PIU’”, perché “HA VERGOGNA DELLA PORTINAIA”… Insomma: non siamo certo in presenza di liriche memorabili, ma l’interpretazione di Battisti fa dimenticare anche questo. Arrivederci a questa sera, avvalendosi del delizioso apporto della sezione fiati, riporta a un’atmosfera più serena e rilassata, quasi giocosa (come sottolinea il riff pianistico iniziale), mentre la voce di Battisti rimane sempre in alto. Gelosa cara si mantiene sulla stessa linea di galleggiamento e, ascoltandola, non si può non notare una certa somiglianza con Donne di Zucchero, pubblicata cinque anni più tardi (giudicate voi…); degno di nota è il coretto doo-woop che, unito al falsetto di Battisti, conferisce ulteriore grazia al brano. Orgoglio e dignità, con il falsetto – qui più spericolato che mai – di nuovo protagonista nel celebre ritornello, è una delle canzoni-traino del disco, oltre che tra le migliori; i sintetizzatori disegnano paesaggi sonori ariosi e sognanti, mentre la voce di Lucio vibra di espressività ed emozione. Una vita viva, che chiude il lato A dell’edizione in vinile, è forse il momento più debole del disco, sia dal punto di vista tematico (si tratta del premuroso predicozzo ai figli da parte di un padre che, dall’alto della sua esperienza di vita, dispensa consigli come “SE E’ IL CASO LOTTARE, PIU’ SPESSO LASCIARE”) che musicale (è l’unico caso in cui il falsetto di Lucio risulta un po’ indigesto, per non dire naïf).

Ma si riparte di slancio nel lato B, con l’incalzante e irresistibile ritmo disco della “bucolica” Amore mio di provincia, dove le tastiere giocano un ruolo di primo piano e fanno sentire il loro peso, qui più che altrove; il brano si ricorda anche perché è stato interpretato (in playback) da Lucio in occasione della sua ultima apparizione televisiva in assoluto, il 4 maggio 1980, alla Televisione Svizzera Tedesca, nella trasmissione Music & Gasle (filmato reperibile su Youtube: camicia improbabile a parte, è sempre emozionante rivedere un Lucio in forma e sorridente raccogliere gli ultimi applausi televisivi della sua carriera). Questo amore conferma l’alto dosaggio “sintetico” del disco, e dimostra per l’ennesima volta – se mai ce ne fosse ancora bisogno – l’impareggiabile gusto musicale di Battisti.

Si arriva poi alla vera e propria perla nascosta dell’album, legata in sede di montaggio sia al brano precedente che al successivo, forse per sottolinearne l’origine spuria rispetto agli altri brani del disco (pare che sia stata scartata dalle sessioni di Una donna per amico… fossero tutti così gli scarti!): Perché non sei una mela; l’ipnotica linea di basso di John Giblin (all’epoca nei Brand X, poi anche nei Simple Minds) è una delle cose migliori dell’album e accompagna magistralmente i sogni di “geometria solida” scanditi a passo lento da Battisti. L’improvviso calo di pressione è solo la quiete prima della tempesta, perché la tenue dissolvenza con i residui fraseggi del basso lascia ben presto il posto al cupo rimbombo dei tuoni e allo scoppio improvviso del temporale di Una giornata uggiosa, brano che si porta degnamente sulle spalle la responsabilità di essere la title-tack. Qui si torna alle atmosfere grintose de Il monolocale, ma con un ritmo forsennato e un tasso rock maggiore, mentre il testo è un’aspra invettiva/sfogo in cui Mogol, attraverso la voce di Battisti, esprime tutta la propria insoddisfazione e frustrazione nei confronti della realtà (e ne ha anche per la sua terra adottiva, che definisce “BRIANZA VELENOSA”), con la chitarra dissonante nel ritornello ad amplificare genialmente la sensazione di malessere.

L’asso viene calato alla fine e, davvero, la collaborazione Battisti/Mogol non poteva chiudersi in maniera migliore! Con il nastro rosa è il cuore dell’album e una delle migliori canzoni in assoluto della coppia, un brano che da solo vale l’acquisto del disco. Se Mogol consegna ai posteri la celebre frase citata in apertura, fiore all’occhiello di un testo in cui recupera le intuizioni poetiche e lo smalto dei tempi migliori, Battisti, dal canto suo, scrive e interpreta una melodia stupenda, inaugurata dall’inconfondibile suono “pensieroso” dell’organo e conclusa, nella splendida coda strumentale, dal celebre assolo chitarristico di Phil Palmer, un liberatorio volo radioso verso cieli tersi, lontano dalle nubi del brano precedente; un volo che mette la parola “fine” all’ultima avventura del duo e a un intero percorso artistico in maniera indimenticabile.

Piccola appendice: negli anni Novanta sono affiorate le registrazioni inedite (facilmente reperibili in internet) di alcuni demo e provini dei brani del disco, in alcuni casi con testi e linee melodiche molto diversi rispetto alle versioni incise nell’album: una vera e propria manna per i battistiani incalliti! In più, è stato divulgato anche il provino voce e chitarra (anch’esso disponibile su Youtube) di un notevole brano inedito, Il paradiso non è qui (il testo, tra i più cari a Mogol, affronta il tema dell’immigrazione), escluso dalla scaletta finale del disco per motivi ancora oggi oggetto di discussione.

Per concludere, due parole anche sulla splendida copertina realizzata dal fotografo Ilvio Gallo: oltre ad esprimere perfettamente l’atmosfera indicata dal titolo del disco, è sintomatica della volontà di Lucio di non apparire più (non accadeva da Anima Latina, 1974, che Battisti non comparisse in nessuna foto dell’album) e sottrarre completamente la propria immagine agli sguardi del Mondo.

Francesco Vignaroli

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