Tiziano Panici, Direttore artistico del Teatro Argot Studio di Roma, lancia un appello per immaginare insieme il #TeatrodiDomani dopo l’emergenza Covid-19

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Al futuro o al passato, un tempo in cui il pensiero è libero…

Stiamo attraversando un periodo storico difficile, ma noi ne usciremo più forti di prima. Ci piacerebbe usare questo tempo per riflettere ma soprattutto immaginare quello che potrà essere il teatro del domani, quello che potrà essere l’Argot del domani.

Vorremmo che la nostra riflessione sia condivisa e aperta e che possa accogliere le proposte degli artisti che da sempre ci sono vicini, ma anche quella dei nostri spettatori più affezionati e di quelli che invece devono ancora venire. Per rispondere alla chiamata di “casa Argot” basta inviare una mail a argot.ilteatrodidomani@gmail.com. per immaginare insieme #IlTeatrodiDomani.

Di seguito l’intervista al Direttore artistico del Teatro Argot Studio di Roma Tiziano Panici. Vediamo cosa ha da raccontarci.

Durante l’emergenza covid-19 siete stati tra i primi a lanciare il comunicato stampa della chiusura del Teatro Argot di Roma. Puoi definirla una scelta più coraggiosa o più realistica? Quando avete capito che era la cosa giusta da fare?

Credo sia stata una scelta di buon senso. Come purtroppo i fatti hanno dimostrato qualsiasi ritardo nella gestione del contenimento, soprattutto nel periodo di accensione dei focolai, ha portato poi a conseguenze davvero terrificanti. Per noi è stato durissimo già interrompere le attività in corso la sera del 4 marzo. Andava in scena Paolo Zuccari con il suo monologo “Toni” e siamo stati costretti a interrompere le repliche a seguito del DPCM emanato la sera stessa. Abbiamo poi atteso insieme a tutta l’Italia di capire meglio cosa stesse succedendo, ma ai primi di aprile avevamo la deadline di un concorso progettato per promuovere artisti emergenti, che da sempre sono i progetti a cui spazi come il nostro devono dare maggiore attenzione. Mi sono reso conto che sarebbe stato impossibile far partire la comunicazione di un progetto che non avrebbe potuto svolgersi nel nostro spazio nelle normali condizioni. In quanto spazio che fa attività per il pubblico dovevamo assumerci la responsabilità di dichiarare la chiusura senza perdere altro tempo. Oggi stiamo quindi provando a utilizzare questo tempo per immaginare una riapertura.

Come stai vivendo e, come vivono gli artisti questo momento di allontanamento dal teatro?

Credo che sia per tutti una situazione davvero sconfortante, ma credo che come sempre ci sono situazioni molto diverse: molti artisti hanno reagito lanciandosi coraggiosamente in iniziative online e streaming dalle loro case mettendo subito in moto la creatività. Altri hanno invece manifestato la loro difficoltà a potersi sostentare e hanno chiesto alle istituzioni di mostrare maggior riguardo verso uno dei settori che, a quanto pare, sembra essere stato quasi dimenticato. Altri ancora hanno scelto il silenzio.

Come possono secondo te i social media dare spazio alla creatività e, agli artisti durante l’emergenza sanitaria covid-19 che si sta vivendo a livello mondiale?

In questo primo mese c’è stata una risposta spontanea e molto forte di creatività e anche di partecipazione che ha coinvolto, oltre agli artisti, gli stessi cittadini: penso alle canzoni e ai flashmob dai terrazzi, ai film proiettati dalle finestre, alla musica che ha risuonato in tutte le case degli italiani. Non c’è confine alla creatività e alla fantasia: è senza dubbio la nostra maggiore risorsa e non può essere confinata. Nel frattempo però si è acceso ogni sorta di dibattito sulla pericolosità dei social e di internet e del fatto che non possono sostituirsi in alcun modo allo spettacolo dal vivo e che molto spesso sminuiscono la professionalità dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo.

È vero, ma è vero anche che questi strumenti ci hanno permesso di non rimanere isolati: abbiamo la possibilità di dialogare con persone care lontane da noi. Possiamo già farlo da almeno 20 anni eppure questa situazione straordinaria ci ha fatto incrementare le potenzialità di questi dispositivi azzerando le distanze. Credo quindi che torneranno molto utili in questa Fase 2 e nei mesi a venire e che, in modo spontaneo, si stia creando un nuovo tipo di domanda e di offerta per il mondo dello spettacolo.

Nel video ricordi il 1984 l’anno di fondazione del Teatro Argot di Roma. Puoi condividere con noi un aneddoto dei primi anni di vita del Teatro?

Be’ va considerato che io e il Teatro Argot siamo coetanei. Anzi a dirla tutta l’Argot ha un anno in più di me. Si può dire che per me sia una sorta di “fratello maggiore”. Per me è sempre stata una casa e un luogo di accoglienza. Essendo nato in una famiglia d’arte, il teatro e lo spazio Argot venivano sempre considerati “la prima casa”. Se mio padre partiva o tornava da un viaggio, il luogo da cui si calcolava il percorso del viaggio era l’Argot e non certo la nostra casa…

Hai definito la quarantena come un momento per riflettere. Ti va di raccontarci la più grande emozione che hai vissuto nel Teatro?

Se devo tuffarmi nei ricordi nel passato sono tantissimi gli episodi che affiorano. Ho memoria di quasi tutti gli spettacoli che ho visto dentro le mura del nostro teatro/casa. Quando avevo solo 10 anni mi venne accordato il permesso di tornare le prime volte da solo dopo la scuola. Ovviamente non mi vennero consegnate le chiavi di casa, ma quelle del teatro Argot! La mia scuola era a Trastevere, a poca distanza dal luogo di lavoro dove i miei genitori trascorrevano gran parte delle loro giornate. E a me non era vietato di stare con loro nel luogo di lavoro, anzi: ricordo la mia infanzia passata in parte a giocare a pallone con gli amici in Piazza San Cosimato e in parte nel buio della sala, dove ogni giorno entravano nuovi personaggi e scoprivo storie e segreti fantastici. Era semplicemente magico!

Se chiude gli occhi Tiziano, come immagina il Teatro di domani?

Se chiudo gli occhi vedo ancora tutto nero. Le immagini sono ancora molto confuse e poco delineate. Sono però convinto che in questo momento se il paese vuole davvero ripartire sia necessario anche affidarsi alla cautela e alla responsabilità non solo del governo, ma del singolo individuo. Anche il settore dello spettacolo deve tornare a produrre: come avverrà per le fabbriche, deve essere almeno garantito il diritto agli spazi di produzione di potersi attrezzare e ospitare le compagnie e gli artisti e di farli provare. In questo modo sarà possibile lanciare i prodotti anche a distanza: con la radio, con i social, con lo streaming. Non si può pensare di impedire all’intero comparto dei lavoratori e delle lavoratrici di tornare a lavorare, così come si è scelto di fare per le fabbriche, le librerie, per i mercati o per i ristoranti: non si può impedire allo chef e ai cuochi di entrare in cucina per poter servire un piatto caldo, o no?

Il video si chiude con una frase che “Tiziano del passato” aveva scritto e che cito di seguito ” quel che è fatto non può essere disfatto”. Che messaggio vuoi lasciare con questo pensiero?

Queste parole non sono le mie ma quelle di un grande scrittore e pensatore del Novecento: George Orwell. Il suo 1984 è uno dei romanzi più profetici del secolo scorso. Per me questo romanzo non parla del “futuro” ma è già il nostro presente. L’occhio del Grande Fratello è attivo e osserva questa umanità da ormai quasi 40 anni. Ormai il danno è fatto. Ma non si può impedire agli esseri umani di evolversi e di cambiare: per quanto siamo organismi “ribelli” facciamo sempre parte di un sistema naturale e, mi auguro che i migliori di noi siano capaci di uscire da questo terribile momento immaginando un nuovo modo di vivere più sostenibile.

Penso ai giovani e ai giovanissimi, che ancora una volta, saranno i veri eredi delle macerie del nostro presente: “ciò che è fatto non può essere disfatto”.

Quale è l’augurio che vuoi fare a Tiziano e, agli amanti del Teatro Argot di Roma e del Teatro in genere?

L’augurio è quello che ho riportato nel mio messaggio pubblico: tutto sommato io mi considero un privilegiato. Questa pandemia non mi ha portato via nessuna persona a me cara. Non mi ha tolto la salute né la voglia di vivere. Mi ha concesso tempo per pensare e riconsiderare la mia vita e il mio lavoro. Tutti quelli che sono sopravvissuti a questa disgrazia, senza subire ingenti danni, devono sentirsi grati e dovranno usare il proprio pensiero e, la propria forza di volontà per ricominciare. Ma non con la forza e la brutalità di prima bensì con l’incertezza e la delicatezza di un bimbo che muove i suoi primi passi in un nuovo mondo e così, passo dopo passo, impareremo di nuovo a camminare.

Daniela Di Genova

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