22 maggio 2010: l’Inter nella leggenda

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Questo strano 2020 senza sport ha almeno il pregio di essere ricco di anniversari calcistici “a cifra tonda” che favoriscono l’amarcord, cioè l’operazione-nostalgia in grado di attenuare – si spera – la crisi di astinenza dei calciofili più accaniti. Così, dopo il 1990 del secondo Scudetto del Napoli di Maradona e il 2000 del “giubileo laziale” (https://www.corrieredellospettacolo.net/2020/05/14/14-maggio-2000-e-giove-pluvio-tuono-lazio/), questa volta la nostra macchina del tempo (anzi, della memoria) compie il viaggio a ritroso più breve e ci porta al 2010, l’anno dell’Inter. L’impresa più eclatante in questo caso non riguarda la Serie A, che vede i nerazzurri iscriversi nell’albo d’oro del campionato per il quinto anno consecutivo, bensì l’Europa: vincendo la sua terza Champions League – a 45 anni di distanza dall’ultimo trionfo – l’Inter è la prima e finora unica squadra italiana a conquistare l’ambito triplete, cioè la vittoria, nel corso della stessa stagione, di campionato, coppa nazionale e Champions. La straordinaria stagione 2009/2010 è il degno coronamento di un corposo ciclo vincente cominciato qualche anno prima; il trionfo in Champions, in particolare, è l’evento che legittima la vera grandezza del ciclo stesso.

Quello della conquista della vetta d’Europa è un cammino che parte da lontano, e precisamente dal 18 febbraio 1995, giorno in cui il cinquantenne Massimo Moratti, figlio dell’indimenticabile presidente della Grande Inter negli anni Sessanta Angelo, acquista ufficialmente la Società F.C. Internazionale da Ernesto Pellegrini. L’obiettivo dell’allora giovane neo-presidente è preciso: ripercorrere le orme paterne e far tornare l’Inter nuovamente Grande. Nonostante la passione, l’entusiasmo e il tanto denaro investito per l’acquisto di grandi campioni come Ronaldo, Baggio e Vieri, i primi dieci anni della presidenza Moratti sono caratterizzati da poche gioie (la Coppa UEFA del 1998) e tante delusioni (su tutte, quella dello Scudetto perso all’ultima giornata nel famigerato “5 maggio” 2002 all’Olimpico), culminate in un paio di casi con le dimissioni del presidente stesso, poi comunque tornato alla guida del club.

Lo scandalo di “Calciopoli” – termine orribile mutuato da quello, ancor più tristemente noto, di “Tangentopoli” – nel 2006 ha provocato un vero e proprio terremoto nel mondo del sistema-calcio italiano, stravolgendo i rapporti di forza della Serie A e mettendo di fatto fine alla “pax biancorossonera” che durava da circa quindici anni, nel corso dei quali (con il breve interregno di Lazio e Roma a cavallo tra i due millenni) Juventus e Milan si erano “spartite” – legittimamente, almeno fino al 2004 – la vittoria del campionato. Tale vuoto di potere, venutosi a creare in seguito alla retrocessione in Serie B della Juventus e alla penalizzazione del Milan e di altre Società, è stato prontamente riempito dall’Inter, a quel punto quasi obbligata a tornare a vincere. E così è stato.

Sotto la guida di Roberto Mancini, con le vittorie pre-Calciopoli di Coppa Italia e Supercoppa italiana 2004/2005 si è aperto un ciclo che ha visto l’Inter conquistare finalmente il sospirato Scudetto – sia pure a tavolino – nella stagione successiva, la 2005/2006 (arricchita anche dal bis in Coppa Italia e Supercoppa), interrompendo un digiuno che durava dal 1989, anno dello “Scudetto dei record” dell’Inter di Trapattoni e Matthäus. A questo primo Scudetto ne sono seguiti altri due vinti sul campo, tra cui quello – importantissimo per la storia nerazzurra – nell’anno del Centenario, il 2007/2008. Ottenuta la supremazia nazionale, la Società – con il presidente in prima fila – cercava quella europea, ma nelle quattro partecipazioni della gestione Mancini la squadra non è mai andata oltre i quarti di finale della Champions, e questo è stato il motivo principale del clamoroso esonero – da fresco campione d’Italia! – del tecnico marchigiano nel maggio 2008.

A sostituirlo, con la missione/imperativo di vincere la “coppa dalle grandi orecchie”, è il tecnico portoghese José Mourinho, personaggio carismatico e dal grande impatto mediatico, già vincitore a sorpresa della Champions 2003/2004 con il Porto. Lo “Special One” si presenta da par suo, inaugurando l’esperienza nerazzurra con la vittoria della Supercoppa nell’ennesima sfida contro la Roma. A fine stagione arriva anche lo scudetto – il quarto consecutivo per la Società –, ma in Champions la “cura Mourinho” produce solo un’altra eliminazione ai quarti di finale, contro il Manchester United di Sir Alex Ferguson: la delusione è innegabile, ma è solo una prova generale in vista di quel che verrà…

La stagione 2009/2010, dopo anni di semine in cui non tutto è andato a buon fine, è quella del grande raccolto. Una stagione che i tifosi dell’Inter non dimenticheranno mai. L’inizio, a dire la verità, non è dei migliori: ad agosto i nerazzurri perdono infatti la Supercoppa contro la Lazio, vedendo così sfumare il primo obiettivo stagionale. Un semplice incidente di percorso, in realtà. La squadra, già molto competitiva (Zanetti, Cambiasso, Stankovic, Julio Cesar, Samuel, Maicon, Cordoba, Chivu, il giovane ma già ribelle Balotelli…), si è ulteriormente rinforzata con l’arrivo di grandi giocatori, come l’attaccante camerunense Eto’o (al posto di Ibrahimovic, nell’ambito di uno scambio con il Barcellona che premierà i nerazzurri), il centrocampista olandese Sneijder e il difensore brasiliano Lucio. Passa quasi in secondo piano l’arrivo di due giocatori dal Genoa, che si riveleranno invece a dir poco decisivi (soprattutto il secondo): il centrocampista italo-brasiliano Thiago Motta e l’attaccante argentino Diego Milito. L’andamento della stagione per l’Inter è tale che, a maggio, essendo ancora in corsa per tutti i trofei, i nerazzurri si giocano tutto in meno di venti giorni. Il trentenne Milito, autore della miglior annata della sua carriera, risponde prontamente “PRESENTE!” alla prima chiamata del destino in occasione della finale di Coppa Italia il 5 maggio: è suo il gol della vittoria contro la Roma, vittoria che sfata il tabù di quella data infausta, fino a quel momento associata dal popolo nerazzurro al triste ricordo sportivo (già menzionato sopra) di qualche anno prima. Undici giorni dopo, l’11 maggio, Milito si ripete segnando il gol-Scudetto a Siena nel corso dell’ultima giornata di campionato, vanificando gli sforzi della Roma, che era riuscita a riaprire i giochi solo poche settimane prima. Ma ancora non basta: il destino chiama una terza volta il 22 maggio, giorno della finale di Champions League tra Inter e Bayern Monaco allo stadio Santiago Bernabeu di Madrid, e Milito risponde non una, ma ben due volte! E’ lui, dunque, l’”uomo del destino” nerazzurro, lui, che soltanto un anno prima non aveva vinto ancora nulla, almeno in Europa (in Argentina aveva invece festeggiato un campionato con il Racing Club). Grazie anche alla sua doppietta l’Inter entra nella leggenda, iscrivendosi nell’esclusivo “club del triplete” insieme a squadre del calibro di Barcellona, Bayer Monaco e Ajax.

Al di là della legittima soddisfazione per questo prestigioso record, ciò che più conta per l’Inter è la gioia immensa di aver finalmente riconquistato la massima competizione continentale, che mancava da tanti anni, troppi. Una vittoria attesa a lungo da tutto l’ambiente, in particolare dal presidente Moratti che, riuscendo a rinverdire i fasti che furono, ha confermato quanto la Champions, all’Inter, sia davvero una questione di famiglia. E’ la vittoria di una squadra che, pur priva di una grande stella (come Messi o Cristiano Ronaldo), può vantare un collettivo granitico e uno spirito altrettanto solido, trascinata da un condottiero dotato di capacità strategiche e motivazionali uniche come Mourinho, e illuminata dall’esempio – a tratti commovente – di un vero Capitano come Javier Zanetti, ultima grande bandiera nerazzurra, che, a dispetto delle trentasette (37!) primavere sulle spalle, ha affrontato la sua stagione d’oro col vigore di un ventenne, mostrando in più di un’occasione le sue celebri progressioni palla al piede.

I momenti-chiave nella Champions dell’Inter sono almeno due. Il primo è l’autoritaria vittoria per 1-0 a Londra contro il Chelsea nella gara di ritorno degli ottavi di finale, partita grazie alla quale, molto probabilmente, i nerazzurri hanno preso coscienza della propria forza, ritrovando l’autostima messa in discussione da un girone eliminatorio piuttosto sofferto e acquisendo la consapevolezza di poter arrivare fino al termine della competizione. Il secondo riguarda un’altra trasferta, quella a Barcellona della semifinale di ritorno: opponendo una strenua resistenza nonostante l’inferiorità numerica (dal 27’ del primo tempo, espulsione di Motta), i nerazzurri hanno sì perso la partita, proprio come nel girone eliminatorio (in quel caso per 2-0), ma a causa del 3-1 subito nella gara d’andata l’1-0 finale non è bastato ai blaugrana per la tanto proclamata remuntada, e l’Inter ha ritrovato così la finale dopo 38 anni (l’ultima volta c’era arrivata nel 1972, sconfitta per 2-0 dall’invincibile Ajax di Cruijff). Un’impresa sportiva epica, compiuta in un clima a dir poco ostile e resa ancora più gustosa dal goffo – per non dire comico – tentativo di boicottaggio della festa nerazzurra messo in atto dal Barcellona nell’immediato post-partita (l’inno del club sparato dagli altoparlanti dello stadio a tutto volume, l’impianto di irrigazione del campo che si attiva all’improvviso come per magia e, ultimo, il portiere Valdés che, evidentemente ancora in piena trance agonistica, cerca di impedire a Mourinho di gioire insieme ai tifosi…).

Dopo un tale pieno di emozioni, l’atto finale del 22 maggio, Bayern-Inter, è quasi una partita “normale”, quasi… si tratta pur sempre della finalissima! In estrema sintesi, l’Inter interpreta una gara tatticamente perfetta, lasciando l’iniziativa agli avversari e colpendoli con due affondi chirurgici – uno per tempo – firmati entrambi, neanche a dirlo, da un Diego Milito in stato di grazia ormai da mesi. E così, dopo quarantacinque anni l’Inter è di nuovo Grande e per di più può gustarsi, oltre alla torta, anche la ciliegina del triplete; ma la festa nerazzurra, proseguita poi a Milano per tutta la notte, è turbata da un’assenza che fa rumore: quella di José Mourinho, uno dei principali artefici dell’impresa. Galeotta fu la città sede della finale, Madrid, coincidente proprio con la destinazione della nuova tappa professionale del tecnico portoghese: il Real Madrid. Quello che all’Inter – e presso i bene informati – si sapeva già da qualche tempo diventa così ufficiale anche per i tifosi, e in modo traumatico, proprio nel momento di massima euforia: Mourinho lascia la squadra dopo due soli anni per accasarsi al Real (la firma del contratto avverrà qualche giorno dopo). Così, dopo la vittoria e la premiazione, arrivano le lacrime e il precipitoso addio: trovandosi già a Madrid, Mourinho ne approfitta per trattenersi a colloquio con la dirigenza dei blancos, e l’aereo dell’Inter torna quindi a Milano senza il tecnico. Una situazione surreale, degna del celebre cartone animato giapponese degli anni Ottanta Holly e Benji (ricordate l’addio a sorpresa dell’allenatore Roberto – in quel caso però è lui a prendere l’aereo – dopo la vittoria del primo campionato di Holly?). Il colpo è duro, sia per la Società, costretta a venir meno al proverbio “Squadra che vince non si cambia”, che per i tifosi, ormai identificatisi completamente con il tecnico in virtù del suo “interismo” viscerale.

Ma si deve ripartire e così, al posto dello Special One, arriva dal Liverpool il tecnico spagnolo Rafa Benitez che, dopo l’iniziale vittoria in Supercoppa italiana, fallisce il primo obiettivo internazionale della stagione, cioè la Supercoppa Europea (trofeo peraltro mai vinto dall’Inter). Il riscatto avviene però a dicembre, con la conquista del Mondiale per Club negli Emirati Arabi Uniti (3-0 in finale ai congolesi del Mazembe). E’ l’ultimo atto della sua breve avventura in nerazzurro prima del prematuro divorzio consensuale, ma è anche la vittoria che segna la fine del ciclo per l’Inter. Al termine di una stagione faticosa e complicata la squadra, guidata ora dall’ex milanista Leonardo, riesce comunque a effettuare un colpo di coda alzando la Coppa Italia 2010/2011, mentre in campionato chiude seconda. Poi, negli anni successivi la Società vivrà una lunga fase difficile caratterizzata da due cambi di proprietà e nessun titolo, fino allo stop attuale. Il futuro dell’Inter, come quello del calcio italiano in generale, è tutto da scoprire…

Francesco Vignaroli

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