Rembrandt Bugatti tra genetica e genialità, quando l’arte è plasmare la materia per eternarne la memoria

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Mi è capitato di vedere I bronzi di Rembrandt Bugatti e rapita dalla bellezza eterea di una scultura che plasma muovendosi cioè che ritrae nel momento massimo della creazione che e’ fuga e ritorno dell’invenzione, mi sono innamorata delle sculture di questo artista nato in una famiglia di artisti.
Rembrandt Bugatti nacque alla fine del Novecento esattamente il 16 ottobre 1884 ,terzo figlio di Carlo Bugatti disegnatore (noi oggi diremmo designer e stulist) in stile Art Nouveau e di Teresa Lorioli, non chè nipote di Giovanni Segantini padre – apostolo e discepolo di quel movimento di emanazione cromatica di leggerezza che è stata Scapigliatura,mentre il fratello Ettore fondò l’omonima e famosissima casa automobilistica che nel modello forse oggi rarissimo da trovare anche nel mercato delle auto d’epoca, Bugatti Royale Tipo Coach 41 immortalò la bellezza della meccanica e del movimento tanto cara ai futuristi.
Il giovane Rembrandt emblematico il suo nome, respira arte a pieni polmoni sin dal momento che apre gli occhi al mondo per diventare uno scultore di grande talento ed ermetica bellezza.
I suoi soggetti preferiti erano gli animali , in special modo si recava alla zoo di Anversa per ritrarli e fissare il momento della veritas con la natura che solo gli animali sanno inconsapevolmente esprimere.
Tanto era l’empatia e la simbiosi che l’artista aveva con loro ,che gli animali (Elefanti, asini, rinoceronti, orsi, tigri, leoni )consapevoli del talento del loro “ritrattista” si fermavano per farsi ritrarre in assoluta libertà.
Propio l’Elefantino divenne il “logo diremmo oggi , il simbolo della Bugatti Royale , un mondo per cementare la modernità della macchina con la libertà della natura, infatti l’Elefantino che dimora sul tappo del radiatore della Bugatti Royale e’ in movimento su due zampe quasi volesse innalzarsi al di sopra di noi umanità inconsapevole della libertà che in natura esiste e vive senza ‘i nostri dogmi.
Il giovane Rembrandt non visse molto, morì a Parigi l’8 gennaio 1916 a trentadue anni appena , ma l’intensità della sua arte produsse veri e autentici capolavori ,sculture in bronzo che emanano la leggerezza di una mano che plasmando la materia ha cercato di elevare l’umanità intera al soglio
dell’assoluto dove il mondo animale che egli immortala ,trasfigura la ricerca della perfezione che essendo sempre in divenire diventa perfettibile e mai perfetta.
I luoghi del suo “creare “merano appunto il giardino zoologico di Anversa e il Jardin des Plantes di Parigi
(Rembrandt vi si trasferì dall’Italia per poi morire appunto a Parigi l’8 gennaio 1916 in pieno conflitto mondiale).
Pur influenzato dall’arte dello scultore russo Paul Troubetzkoy, Rembrandt sviluppa un suo stile che lo porta a ritrarre la natura così vicino al suo intimismo e al suo desiderio di solitudine come se ritraendo il mondo che lo circondava per poi plasmarlo nella materia del bronzo egli potesse ricongiungersi con L’Eterno.
Genialità e genetica sono state le peculiarità di questo grandissimo artista spesso dimenticato di cui non si parla abbastanza ,sebbene le sue opere sul mercato antiquario abbiano raggiunto valori altissimi.
Come detto la genialità come fattore “ereditario” incommensurabile e la genetica , che è eredità senza “scopo di lucro” che riceviamo al momento della nostra nascita, sono state per il nostro Rembrandt un fattore esplosivo che ha innescato in lui la volontà di fuga verso la creazione e di ritorno verso l’invenzione unita al bisogno di isolarsi dagli altri.
Era di temperamento chiuso quasi volesse aprirsi solo al mondo della creazione attraverso la natura che lo assecondava grazie al fattore “materia”.
Se la pittura e’ di superficie pur avendo la connotazione della profondità degli orizzonti attraverso la prospettiva e il punto di fuga di Brunelleschi, la scultura è tridimensione dell’umano , è angolazione di luce che è percezione del mondo che vediamo e che ricordiamo, proprio attraverso il relativismo del nostro sguardo.
Ricordare Rembrandt Bugatti oggi vuole dire celebrare un artista geniale e visionario che nato 2 secoli prima ,ha avuto l’immaginazione di vedere il mondo in movimento attraverso la pulsione della natura , che lui ritrasse nella crudeltà involontaria della natura stessa, nella serenità che gli animali che lui ritraeva emanvano attraverso la simbiosi stimolante che egli creò con I suoi primi attori, gli animali diventati materia scultorea in cui ogni centimetro della materia da fondere , il bronzo, è cifra e linguaggio del mistero e della mistica che solo la natura nella sua immanenza riesce a darci.
Diverse le sculture “l’Elefantessa ferita dal leone con il suo cucciolo a fianco “ piuttosto che “il leone che ferisce per cacciare una gazzella “ , ferinità della natura che si concilia con il senso che la natura stessa racchiude, la bellezza e la verità un momento di coincidente tensione dove l’artista diventa una cosa sola realmente fondendosi con la musa ispiratrice insostituibile, la NATURA una madre matrigna che nel periodo dell’Art Nouveau ispirò arredi, sculture, dipinti, moda, un arte sinuosa e intrigante che rapì il nostro Rembrandt portandolo ai confini della sublimazione.
Come Mozart, Rembrant Bugatti (entrambi schivi e anche isolati dal mondo che forse invidiava loro la grande capacità unica di invenzione ) visse poco ma produsse molto quasi a voler rincorrere il tempo per riempirlo di creazione e invenzione prima che la morte come ultima e piu’ grande esperienza compisse la propria venuta quale termine di insegnamento.
Il talento è la forza della natura , ci rappresenta nella massima dimensione del momento “magico” di invenzione e ritorna alla natura quando quest’ultima ci bussa alla porta per dirci che ora è arrivato altro momento, quello della partenza verso una destinazione ignota, ma lasciando questo mondo ,Mozart che scrivendo lo straordinario e drammatico Requiem per se stesso fu costretto ad attribuirne la paternità al conte Stuppach che lo commissionò e Rembrandt Bugatti ci hanno lasciato a noi umanità distratta e ipertecnologica il mistero irrisolvibile della nostra venuta al mondo e relativa dissolvenza , che non e’ cosa da poco considerando che entrambi per il poco tempo che hanno vissuto ci hanno letteralmente inondato di bellezza che deve essere decifrata per le future generazioni per continuare ad enternare bellezza e verità.

Barbara Appiano

In copertina: Due lama,1911, bronzo, 35x33x72.5 cm. Museo d’Orsay, Parigi

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