Corriere dello Spettacolo

Bellissima

ITALIA  1951  110’  B/N
REGIA: LUCHINO VISCONTI
INTERPRETI: ANNA MAGNANI, WALTER CHIARI, TINA APICELLA, ALESSANDRO BLASETTI
VERSIONE DVD: SI’, edizione MEDUSA HOME ENTERTAINMENT

 

“QUESTO E’ IL CINEMATOGRAFO” (Alessandro Blasetti, dal film)

Roma, Cinecittà: nell’ambito del concorso “Bellissima – La più bella bambina di Roma”, il regista Alessandro Blasetti sta svolgendo i provini per trovare la protagonista del suo nuovo film Oggi Domani mai. Tra le decine e decine di candidate c’è la piccola Maria, per la quale la madre, l’infermiera a domicilio Maddalena Cecconi (Magnani), sogna un futuro migliore, magari proprio come stella del cinema. In vista del provino finale, determinata più che mai a raggiungere l’obiettivo, Maddalena non bada a spese e, sottoponendosi a enormi sacrifici (a causa dei quali giunge ai ferri corti col marito Spartaco), garantisce alla figlia lezioni di recitazione e di danza, le compra un abitino nuovo, la porta dal fotografo e dal parrucchiere. Per essere ancora più sicura, dando fondo agli ultimi risparmi, Maddalena sborsa pure 50.000 lire per una raccomandazione di ferro, lasciandosi irretire dal traffichino di mezza tacca Alberto Annovazzi (Chiari) che, in realtà, usa il denaro per comprarsi una lambretta. Nonostante tutti gli sforzi della donna, il provino si rivela disastroso: Maria scoppia in un pianto irrefrenabile davanti alla telecamera, suscitando l’ilarità e la derisione della commissione giudicante, presieduta dallo stesso Blasetti.
Maddalena, che ha assistito alla scena di nascosto, sperimenta così sulla propria pelle tutto lo squallore del mondo dello spettacolo, rendendosi conto che il sogno è finito; piena di sdegno per l’umiliazione subita, torna a casa con la piccola. Non è finita qui: rivedendo il provino, il regista si accorge che è proprio Maria la bambina che sta cercando per il film, e così i suoi collaboratori si recano immediatamente a casa Cecconi con un contratto principesco in mano. Tutto inutile: Maddalena sceglie la dignità, che non ha prezzo.

L’incontro tra due diverse e apparentemente inconciliabili idee di cinema, quali il realismo di stampo storico/letterario di Visconti -al suo terzo film dopo Ossessione e La terra trema– e il neorealismo di Cesare Zavattini (forse il massimo “ideologo” del genere, qui autore del soggetto), ha prodotto uno dei massimi capolavori del cinema italiano. Volendo catalogarlo per forza, potremmo senz’altro considerare Bellissima un film neorealista (l’unica “incursione” visconitiana all’interno di questo genere), ma si tratta di un neorealismo sui generis poiché, come già detto, filtrato attraverso la sensibilità artistica di un regista agli antipodi rispetto al genere che ha segnato la rinascita del cinema italiano del dopoguerra. Nelle intenzioni originarie di Zavattini il film doveva configurarsi come un atto di accusa verso il mondo del cinema, fabbrica di sogni, sì, ma soprattutto di illusioni, di cui avevano fatto le spese tra i tanti, ad esempio, anche molti degli attori della stagione neorealista, ripiombati rapidamente nell’anonimato dopo un’effimera notorietà “warholiana”. Giunto ormai al tramonto (il 1952 è pressoché unanimemente considerato come l’ultimo anno di vita del genere), il neorealismo procedeva quindi a una lucida e sincera autocritica, effettuata per l’occasione proprio attraverso il suo stesso mezzo d’espressione, cioè il cinema, affidando a Bellissima tale importante riflessione metacinematografica e creando, così, quell’affascinante cortocircuito tra realtà e finzione tipico di questo genere di opere. Tutto ciò, almeno, secondo il disegno di Zavattini. Pur nella sua ambiziosa profondità e ricchezza tematica, il soggetto di Bellissima non stimola particolarmente Visconti, che accetta di fare il film unicamente per coronare un suo vecchio sogno, rimasto tale sin dai tempi di Ossessione (1943): poter dirigere finalmente Anna Magnani. E’ in questo forte desiderio, dunque, che risiede la chiave di lettura del film: nelle mani del regista il soggetto zavattiniano diventa poco più che un pretesto, una traccia, un tema secondario al servizio del vero cuore dell’opera, rappresentato dallo straordinario ritratto a tutto tondo di una donna e madre popolana del dopoguerra. Coadiuvato da menti del calibro di Suso Cecchi d’Amico, ossia uno dei più grandi sceneggiatori di sempre del cinema italiano, e Francesco Rosi (qui anche in veste di aiuto regista, insieme a Franco Zeffirelli… scusate se è poco!), Visconti rielabora il soggetto neorealista di Zavattini spostando il focus del film dal piano ideologico (la critica del mondo del cinema) a quello antropologico/psicologico (la figura di Maddalena), affidandosi per il resto all’immensa arte di Anna Magnani, cui concede mano libera, che lo ripaga con una delle sue migliori interpretazioni drammatiche di sempre (e, forse, la migliore in assoluto). In un podio ideale, la prova della grande attrice romana in Bellissima se la gioca alla pari con quella in Roma città aperta (1945), il film che apre la stagione neorealista, e con quella in Mamma Roma di Pasolini, girato dieci anni dopo il capolavoro di Visconti. Sfoderando una capacità espressiva e interpretativa senza pari, attingendo alla gamma di sfumature più ampia possibile, la Magnani impiega veramente poco a monopolizzare l’attenzione dello spettatore e a far capire che è lei il cardine indiscusso del film. La sua recitazione poliedrica restituisce alla perfezione, in tutta la sua contraddittoria ricchezza, l’inafferrabilità dell’animo umano, tracciando un ritratto di donna tra i più intensi, nel suo essere pienamente credibile, che la storia del cinema ricordi. Forte della sua autentica, profonda romanità, l’attrice sa essere di volta in volta ironica, tagliente, astuta, energica, fragile, vulnerabile, generosa, tragica, commovente: le sue capacità non le precludono alcun limite nella rappresentazione dei sentimenti umani. A riprova di ciò, basterebbe citare giusto un paio di scene: quella al fiume in cui si fa beffe dell’intrallazzatore Annovazzi, che tenta di sedurla invano, ritenendola ingenua e sprovveduta, salvo poi scoprire che, in un certo senso, è stato lui a farsi raggirare da lei; il pianto disperato nella panchina, con la figlioletta in braccio, dopo la traumatica esperienza del provino.

A proposito di doti interpretative: nonostante la magnetica, travolgente presenza della Magnani, che quasi oscura tutto il resto, si fa notare per la sua bravura anche Walter Chiari, che presta più che degnamente corpo e voce al mascalzoncello Annovazzi, personaggio che ben rappresenta i (tanti) mediocri che orbitano attorno al mondo dello spettacolo cercando di arrabattarsi come possono, improvvisando la vita. Pur nell’impietoso ritratto col quale lo descrive, Visconti riesce ad arricchire e a “vivificare” anche questa figura concedendo un attenuante morale al suo comportamento, parzialmente riconducibile alle pressioni che Annovazzi ha subìto in famiglia, come lui stesso rivela a Maddalena nell’unico momento di sincerità che, gettando la maschera, si (e le) concede.

Pienamente riuscita l’ironica partecipazione, nella parte di sé stesso, del regista Alessandro Blasetti, attivo soprattutto negli anni ‘30/’40, e ancora piuttosto famoso all’epoca. Insieme ai suoi collaboratori, anch’essi nel ruolo di sé stessi (come Mario Chiari e Luigi Filippo d’Amico), è proprio lui a incarnare, come voleva Zavattini, il “lato oscuro” del mondo dello spettacolo: gli uomini di cinema mostrati in Bellissima fanno sfoggio di un cinismo, di una grettezza e di un’insensibilità esemplari. La loro presenza, comunque, non rappresenta l’unico caso di commistione tra la vita reale e la finzione all’interno diBellissima: tornando al discorso iniziale dell’intento metacinematografico –la denuncia delle promesse tradite dal mondo dello spettacolo- del soggetto di Zavattini, se ne trova una sintomatica traccia nella scena in cui Maddalena chiede a una montatrice il favore di poter assistere alla proiezione del provino della figlia. Guardandola meglio, Maddalena riconosce in lei l’ex-attrice Liliana Mancini, interprete del film Sotto il sole di Roma (1948) e ora montatrice professionista… esattamente ciò che è successo nella realtà.

Sempre nel ruolo di sé stesso, anche se non viene nominato, compare all’inizio del film un giovanissimo (ma facilmente riconoscibile) Corrado Mantoni, allora stella della radio italiana, poi indimenticabile conduttore televisivo RAI e Mediaset. La colonna sonora del film è costituita dalle arie de L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti, che Visconti utilizza in chiave ironica a commento di alcune scene-chiave del film. Le sequenze del film proiettato all’aperto nello spiazzo circondato dai condomini appartengono a Il fiume rosso (1948), western capolavoro di Howard Hawks. Un’ultima curiosità: tra i vari punti in cui la sceneggiatura definitiva si discosta dalla prima stesura di Zavattini c’è anche quello relativo all’esito del provino di Maria. Il dietrofront del regista Blasetti, che dopo averla scartata decide di richiamare la bambina, è un’idea di Visconti, grazie alla quale ha potuto chiudere il film con la rinuncia convinta e inappellabile di Maddalena; il soggetto di Zavattini prevedeva invece che la bimba non superasse il provino finale.

Francesco Vignaroli

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