Max Casali, pioniere della break-dance e del rap italiano. Una carriera complicata, sempre alla ricerca dell’originalità e della novità. Il suo percorso l’ha portato alla pubblicazione dell’album “Secondo a… nessuno!”, dove il musicista si cimenta nel cantautorato…
Ciao Max, per iniziare potresti per favore raccontarmi brevemente la tua formazione artistica?
La “scintilla” che fece scaturire la mia passione per la musica fu l’ascolto di “The dark side of the moon” dei Pink Floyd ed iniziai a collezionare dischi di rarità.
Poi negli anni imparai a suonare la chitarra e a comporre le prime canzoni, ancora ovviamente acerbe. Negli anni ‘80 rimasi folgorato dalle prime immagini che circolavano in Italia del film “Flash-Dance”. Sviluppai le mosse e portai questo ballo nelle piazze. Sapevo che in America c’era un bel movimento denominato Hip-Hip, che comprendeva: graffiti, Break-Dance e Rap. Allora mi chiesi: “Perché non incidere un Rap in Italiano? E così fu, seguito tre anni dopo da un altro disco-mix, entrambi con gli pseudonimo di Mister Ooze e prodotto da Gazebo, che mi notò ballare nelle piazze.
Sei stato tra i pionieri della break-dance e del rap in Italia, quanto è stato difficile farsi accettare nel nostro Paese e quanto è stato importante il tuo lavoro per le generazioni successive?
C’era ovviamente molto scetticismo! Basti pensare che proposi il primo Rap in italiano “U.K.Mania” a un discografico che aveva un negozio di dischi a Roma. Ebbene, non ne voleva sapere! ma grazie alla mia caparbietà insistetti non poco per convincerlo, ma con un piccolo compromesso: che avrei dovuto incidere il pezzo anche in inglese. Detto fatto, un mese dopo arrivò negli scaffali “Walking”, il primo mix di Jovanotti (ma in inglese) e logicamente la differenza la fece il cognome del produttore: entrambi si chiamavano Claudio. Il mio Casalini, il suo Cecchetto. Intanto a Roma avevo creato un bel movimento di ballo nelle strade e nelle piazze e la cosa più gratificante era vedere la voglia e l’entusiasmo dei ragazzi di voler imparare la Break-Dance, e allora mi venne l’idea di insegnarla anche nelle palestre. Mi piace pensare che un pochino anch’io abbia contribuito a far scattare questa passione a qualcuno di loro, per poi trasmetterla alle generazioni successive. Oggi, ogni volta che mi imbatto in una “Crew” rimango strabiliato per come hanno perfezionato le mosse, raggiungendo livelli elevatissimi di bravura!
Eppure poi, almeno da quanto ho avuto il piacere di ascoltare, sei arrivato a una concezione della canzone più tradizionale, tanto è vero che ascoltandoti mi sono venuti in mente importanti nomi del nostro cantautorato, come De Gregori.
Beh, sai… gli anni passano e, quando capii che il mio fisico non poteva più sostenere un ballo così impegnativo, tornai a dedicarmi alla composizione di canzoni e mi applicai tanto per renderle più mature, ma mancava ancora qualcosa: inciderle. Ma come? E soprattutto con chi? Nel frattempo, per anni, ho tenuto un catalogo di artisti per organizzare concerti con gruppi di base e tra questi ho avuto la fortuna di conoscere Valerio Carboni, eccezionale polistrumentista e music-maker (ora collabora con Morandi, Fragola, Amoruso, Stadio, solo per citarne alcuni…). Insieme a lui ho trovato una bella intesa artistica, contribuendo non poco a trasformare i miei pezzi acerbi in “canzoni” proponibili. Le mie influenze sono inevitabilmente Battistiane, ma c’è anche chi ci vede, come te, richiami a De Gregori, Rino Gaetano, Gaber. E’ chiaro che ne sono onorato, ma sorrido anche, perché scomodare questi nomi che costituiscono la prestigiosa tradizione cantautorale va oltre a una logica di paragone. Ci tengo, invece, che un recensore o un ascoltatore riconosca in me un discorso di originalità, che si distacchi o rassomigli ad altre proposte, che poi è il fine che mi prefiggo di raggiungere ogni volta che scrivo.
Siamo in un periodo dove i talent show stano uccidendo la creatività compositiva a favore di una mera bravura vocale.
I talent sono, a mio avviso, il segnale che non c’è più tanto impegno da parte dell’industria discografica di seguire per anni un nuovo artista, avendo “pensionato” la figura del talent-scout, che era molto più efficace. Ora o funzioni subito oppure avanti un altro, tanto ce n’è di scelta, ma così non va! Una volta, intravisto il potenziale talento, si incoraggiava e si “cullava” l’artista in erba e gli si dava la possibilità di sbagliare uno, due lavori, ma poi, spesso, quell’artista esplodeva. Ricordiamo cosa successe a Battisti: Mogol minacciò le sue dimissioni, perché la Ricordi non voleva scritturalo e Battisti era uno che provava e riprovava mediamente dieci ore al giorno per creare la canzone perfetta, ma c’era un personaggio che l’aspettava… non aveva fretta e, soprattutto, ci credeva. Oggi, invece, si pensa che con una grande voce ci si arringhi il diritto di bruciare le tappe, ma così si è ampiamente dimostrato che si va davvero poco lontano.
“SECONDO A….NESSUNO!” è il tuo ultimo album, cosa puoi dirmi riguardo a questo?
E’ il mio “secondo” lavoro, dove ironicamente denuncio come la musica vada “a…nessuno!”. E’ un tema a me caro: ossia che la musica stia incessantemente crollando sotto forma liquida e che non ci sia un grande interesse a salvarla: l’IVA non è mai scesa al 4% come i libri, le case discografiche e gli artisti non vogliono calare le loro royalties e quindi, come logica conseguenza, i ragazzi si sfregano le mani scaricando tutto (o quasi) gratis. Ovviamente manca anche una cultura per la musica e questo volge tutto alla volgarizzazione o alla poca qualità. Col mio lavoro mi piacerebbe infondere più riflessione e senso critico verso la musica, dove emerga anche un po’ di etica, per avere il piacere di acquistare un CD quando c’è una qualità di fondo. Ma mi rendo conto che, attualmente, è piuttosto arduo… però io ci provo!
Progetti futuri?
Quest’anno sarà dedicato ad una fitta promozione con l’etichetta discografica “La Stanza Nascosta”, poi comincerò a delineare le sonorità del nuovo lavoro, in quanto sento l’esigenza di apportare piccole modifiche, per non rendere ogni nuovo progetto uguale all’altro. In questo senso con Valerio Carboni sono in una botte di ferro.
Stefano Duranti Poccetti