My candle burns at both ends
It will not last the night.
But ah, my foes,
and oh, my friends…
It gives a lovely light!
Maybe there is a time in everyone’s life when the light shines clearly, brightly, warmly.
For me this occurred in the late 1960’s in New York City. I lived, worked and played with some very special friends. Their essence, of course, is no different from your own crowd.
Robert Altman
– Non si stanca mai?
– Mai. Sto lavorando in teatro, ho finito un film, ne farò altri. Smetterò di lavorare quando mi chiuderanno in una cassa e mi ficcheranno sotto terra.
Un doppio testamento a chiudere il capitolo terreno della vita straordinaria di uno straordinario uomo di un tempo che, con la conclusione della sua personalissima entropia, rischia di non essere più nostro.
Una Morte senza la maschera bianca né le carte da ramino per invitare un assai poco spaventato Woody Allen a giocarsela fino in fondo, una Morte che non si preoccupa neppure di bussare, ma pur sempre la Morte, l’unico appuntamento al buio intrigante e personale, ineludibile dove Lei è misteriosa e fiera e si insinua tra i tanti artisti che si esibiscono sul palco di un programma radiofonico di successo giunto al suo naturale capolinea. Finisce un tempo, un’era, un’epoca di musica country e ebbri sogni americani e non è facile pronosticare il dopo. Impossibile ora che il regista dei sogni a rovescio è stato “ficcato” sottoterra. ll racconto di ciò che accade dietro le quinte di uno dei più importanti show radiofonici andato in onda in America a partire dal 1974 e che si decise con la solita inopportuna mossa del cavallo di cancellare, all’improvviso, dal palinsesto.
E’ l’ultima Nashville di un regista di razza che la morte sente addosso come un animaletto schifoso, ma che continua a non accettare compromesse e regole imposte. E segue con occhio critico e giudizio libero e acuto, nello spazio chiuso di uno studio di registrazione radiofonico con pubblico in sala con l’asprezza sapida di un autentico occhio indiscreto i tanti personaggi che popolano di loro stessi quel bizzarro umanissimo universo a parte. E, col raccontare Radio America, ancora una volta gli riesce il gioco audace di raccontare l’America, tutta intera. Oggi.
Robert Altman è formidabile direttore di un’orchestra di straordinari interpreti in uno splendido film corale, nel quale le emozioni, le storie, i ricordi, le speranze di artisti e tecnici della radio vibrano in dissonante unisono raccontandoci di un mondo che non c’è più, mentre lo show, nelle strade, nelle case, nella vita, brillante di lustrini post moderni e scintillante di supertecnica computerizzata anche se non vuole deve andare avanti, lasciando sul campo di battaglie sfatte sensazioni che una volta per qualcuno erano sogni. Come riportavamo all’inizio nella lingua propria, quel sogno per Robert Altman – e per molti con lui – brillò caldo e scintillante in quella primavera del mondo che sembrarono essere i favolosi anni ’60.
Un omaggio a un grande Maestro, a dieci anni dal suo ultimo lavoro e dal suo incantato transito terrestre. E che la Radio resti microfoni e barbe non fatte su labbra libere come i cuori.
Maria Laura Platania