Teatro Delfino, Milano. Sabato 29 e domenica 30 ottobre 2016
Il teatro Delfino, diretto da Federico Zanandrea, comincia la stagione 2016/2017 in allegria, e per farlo, ospita, in uno spettacolo inedito, Enzo Iacchetti, che comunque ritorna qui per il terzo anno consecutivo, perché ci racconti, in una sorta di intervista/dialogo, la sua storia artistica. Ma la storia di un artista è la vita stessa, i suoi sogni, le sue sofferenze, le sue battaglie, i suoi successi, è il terreno da cui è nato e da cui ha trovato ispirazione, da cui ha saputo risollevarsi dopo le sconfitte, e in cui è ricaduto se le cose non sono andate bene. E da quella terra fertile, non è facile portarlo via, nemmeno la morte ci riesce. Perché l’opera d’arte sopravvive, anche dopo.
E poi, a forza di tentativi, di fallimenti e di perseveranza, quasi alle soglie dei quarantanni è arrivato finalmente il successo, con il Maurizio Costanzo Show, con il Derby Cabaret, con Striscia la notizia. E recentemente anche con il progetto “Arca” che si dedica all’ascolto, all’aiuto, alla reintegrazione, all’assistenza degli anziani, dei poveri, dei bisognosi.
Iacchetti, stimolato dalle domande, o tentativi di domande di Giorgio Centamore, suo collaboratore e autore, imbastisce un simpatico e caloroso dialogo con il pubblico in sala, trasformando il teatro in un grande salotto, dove sono stati invitati anche lo splendido chitarrista Armando Celso e Gerry Bruno, uno dei comici dell’esilarante gruppo dei “Brutos”, che furono molto popolari in quel tempo in cui c’era meno ma c’era di meglio, in cui la quantità non aveva soffocato la qualità, tempi in cui, come dice Enzo, “era difficile salire al sesto piano”, per chiedere lavoro. Ora, che sono giovanotti di una certa età, Celso e Bruno hanno comunque accettato di suonare e di riportare sul palco il personaggio che lo ha reso famoso e che fa ancora molto ridere il pubblico.
E così, Enzo, Armando e Gerry, con passione e umiltà, hanno riaperto i “taps” (Enzo faceva parte di un gruppo chiamato proprio così), i rubinetti dei ricordi anche in tutti i presenti. Facendoci dimenticare, per due ore e mezzo, che fuori ci avrebbe aspettato la nebbia, la festa dei Santi e la Commemorazione dei Defunti, le notizie di guerre e di terremoti, le vicende politiche e le sofferenze del mondo.
Essere lì, a ridere e a sorridere con Enzo, in una quieta domenica di fine ottobre, non era un’eresia, né una cosa di cui sentirci in colpa. Era solo un modo per esorcizzare la realtà, per trasformare lacrime di dolore in lacrime di allegria.
Grazie Enzo, alla prossima.
Daria D.