Corriere dello Spettacolo

HARRYNESS di Paolo Trotti

Teatro Linguaggicreativi – Via Eugenio Villoresi, 26 (M2 Romolo) -, Milano, da martedì 29 novembre a domenica 4 dicembre, 2016

“Io odio il Natale!” Esclama più volte il caro Harry, a quattro giorni dal giorno fatidico, durante la settimana off dall’ufficio (cos’altro ci aspettavamo che facesse, se non un noioso monotono lavoro da impiegato statale?).
Perché il Natale, inesorabilmente, ogni anno, arrivando con la sua ondata di luccicante allegria, regali e baci e abbracci, scambio di auguri, cene tra amici e parenti, lo trova sempre impreparato, nella sua solitudine, paranoia, ansia, attaccamento morboso al passato, desiderio inesaudito di staccarsi dall’assillante madre.
Harry, interpretato da Francesco Leschiera che si muove tra l’impacciato, il timido, il rassegnato e l’incazzoso nevrotico, direi un bel tipo di bipolarismo, è il personaggio creato da Steven Berkoff nel suo play del 1991 intitolato Kvetch (Piagnistei), parola di origine Yiddish e a cui il regista Paolo Trotti si ispira per questo “Harryness”.
Originale, avere aggiunto il suffisso -ness per spiegare una qualità o una condizione dell’animo umano, come potrebbe essere happyness, selfishness, sadness, nervousness.
Una condizione in cui molti sprofondano a ridosso delle feste natalizie, quando la società, la religione, il consumismo, ci “impongono” di essere sorridenti, altruisti, FELICI.
Ma è anche una condizione perenne di molti, per tutto l’anno, per tutta la vita.
Ma la felicità non è forse una maschera che indossiamo per compiacere gli altri, per non mostrare paure e malinconie, per farci vedere forti e invincibili?
Harry, il quasi quarantenne che sembra già vecchio e stanco, incurvato, strascinando i piedi, si è rinchiuso in casa, vestito come se stesse sempre per uscire, ma non lo farà, e vive circondato da oggetti e mobili impacchettati di cellophane, per impedire loro di parlare, di comunicare, di vivere, soffocati come è del resto il suo essere di INETTO. Che lui è il primo a riconoscere, ma per la mancanza di volontà e di coraggio che lo contraddistingue, non riesce a trasformarlo in azione, in movimento, in slancio.
Vive con un gatto, e questo già potrebbe renderlo meno solo, si sa che la compagnia felina è assai più auspicabile di quella umana 🙂 ma questa creatura felpata che cammina sul pianoforte, è in fondo la sua coscienza, quell’altro Harry che non è mai riuscito ad essere e mai lo sarà.
Simona Migliori è il gatto che dialoga con Harry ma anche le donne del suo passato: Clara e Annie. Così pure la madre autoritaria.
Clara è lontana e ancora desiderata, Annie, un’ubriacona perduta nel suo mondo. Nella sua infinita incapacità di reagire ad un Natale solitario, Harry trova però, combattendo contro se stesso, il coraggio di contattarle nella speranza che siano sole anche loro, quel giorno.
Ma questo gli costa una fatica sovrumana, e in più è preso dal malcelato desiderio che non rispondano alla sua telefonata. Che bella scusa sarebbe per la sua Harrytudine.
La colonna sonora dello spettacolo è una bella scelta di canzonette sdolcinate e popolari, corny, che negozi, pubblicità, media e altro, ci propinano per tutto il periodo, pre e post natalizio. Un’ossessione cui non possiamo sottrarci.
Certamente un caso psichiatrico, Harry è la condizione dell’uomo “senza qualità”, schiavo dell’autorità, delle regole che non riesce a rompere, delle convenzioni.
Tanto varrebbe che si impacchettasse anche lui con il cellophane… e morisse…

Apro una parentesi in favore del Teatro Linguaggicreativi: Quando vedo spettacoli fatti con il cuore e la passione in “piccoli” teatri, piccoli contrapposti ai luoghi dove si fa teatro super finanziato, celebrato e osannato, coronato di divi e riempito da abbonati, ho l’impressione di essere dentro all’essenza vera del teatro, fatto per pochi, ma buoni, una piccola élite che va a teatro perché CI VUOLE ANDARE, perché è spinta da una sana urgenza, dalla curiosità, dalla passione. Magari ne uscirà delusa, “Harryness” non la deluderà, però, ma sarà stata lo stesso un’esperienza positiva, arricchente, per lo spettatore e per chi ha lavorato intensamente, perché il teatro continui a vivere, nonostante tutto. Anche solo magari per quei pochi coraggiosi, che non soffrono certo di Harrytudine.

Daria D.

HARRYNESS
di Paolo Trotti
con Francesco Leschiera e Simona Migliori
regia Paolo Trotti
elaborazioni sonore di Antonello Antinolfi
Produzione Teatro Linguaggicreativi
Foto Emiliano Boga
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