Trieste, Politeama Rossetti, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro Miela, dal 9 all’11 febbraio 2017
Prosegue con successo l’iniziativa che vede i teatri triestini collaborare fra loro, in modo da gestire al meglio il delicato equilibrio fra il diverso tipo di spettacolo e la sala più adatta per ospitarlo; il Teatro Miela è sicuramente una buona scelta per La fabbrica dei preti, a Trieste fino a sabato 11 febbraio.
È uno spettacolo duro, denso; il testo, impietoso nell’indignazione verso il sistema ma ricolmo di amore per gli uomini che ne furono i protagonisti, è di Giuliana Musso, in scena, da sola, per un’ora e mezza; le fanno compagnia esempi diversi di abiti da prete, un completo da uomo e una tuta da operaio, oltre a cinque schermi avvolgibili di dimensioni diverse, su cui vengono proiettate fotografie o spezzoni di film che, posizionati in modo apparentemente disordinato sul palcoscenico, creano un po’ di disturbo ad una visione perfetta, aumentando così la sensibilità dello spettatore verso il racconto.
Si chiarisce fin da subito il contesto in cui si viene immersi: la lacerazione devastante provocata in chi entrò in seminario prima dell’apertura Concilio Vaticano II e ne uscì dopo la sua chiusura, trovandosi a metà del guado mentre in ambito ecclesiastico si stava realizzando una vera e propria rivoluzione. Il passaggio da una visione della Chiesa “perfetta”, con una gerarchia indiscutibile anche nei comportamenti quotidiani, ad un’altra in cui la riflessione su se stessa, a partire dal discorso gerarchico veniva auspicata, provocò uno sconquasso enorme, lasciando sul terreno moltissime vittime innocenti. Fu terribile infatti trovarsi a vivere per più di un decennio in un non luogo, dove una rigida gerarchia imponeva regole fino a quel momento considerate naturali, ma che poco alla volta venivano percepite sempre più disumane.
A dar vita a queste voci allora mute, è Giuliana Musso, che per un’ora e mezza rende da sola una testimonianza che forse soltanto oggi si comprende appieno, alternando la lettura di parti del regolamento interno di un seminario, al racconto di alcune di queste esistenze e dedicando questo doveroso lavoro a don Pierantonio Bellina, sacerdote che scrisse, in friulano, l’opera che dà il titolo allo spettacolo.
Sono storie di bambini che, a volte anche per loro scelta, vissero in quell’ambiente segregante, lì diventarono adulti e, senza alcuna esperienza di quel che c’era fuori, vennero scaraventati poco prima o poco dopo il 1968 in un mondo che non corrispondeva in alcun modo all’idea che era stata loro inculcata, sopravvissuta al Settecento e di pochissimo variata.
Ecco allora il prete che poi decise di sposarsi, e lo dovette fare di nascosto perché la dispensa tardava ad arrivare; un altro che rimase convinto fino alla fine della correttezza della propria scelta, ma con la chiarezza di quel che gli è stato portato via; colui che da bambino fu abusato dal vicerettore e che con fatica riemerse da quest’abisso; o chi decise di farsi operaio per comprendere meglio le persone che aveva la missione di sostenere. Ognuno di loro sapeva con chiarezza che ogni decisione presa non avrebbe annullato mai l’atto dell’ordinazione sacerdotale e seppero convivervi, chi con maggior serenità, chi affrontando la sofferenza giorno per giorno.
Inquieta molto, ma dà un’immagine tragicamente chiara e netta, la similitudine fra un seminario di allora e una caserma, i cui meccanismi interni portavano entrambi alla negazione della possibilità di amare e di essere amati. Provoca disgusto la vergognosa pornografia presente nelle lezioni di “Morale nera” in cui l’immagine abbozzata del corpo di una donna veniva presentato letteralmente a pezzi per indicare le parti lecite, quelle illecite e quelle proibite.
Ci vogliono testimonianze di questo tipo, ci vogliono davvero per abbattere l’omertà, dar voce a chi ha vissuto con vergogna gravissime violenze subite, spesso agite senza vera consapevolezza. Non sempre si fu in grado di comprendere quali conseguenze avrebbero comportato nello sviluppo della personalità di quei bambini e adolescenti, persone che in silenzio e in solitudine portarono per tutta la vita, è il caso di dirlo, delle croci troppo pesanti, con umiltà e devozione. Non sempre gli stessi carnefici seppero capire, perché si era sempre fatto così.
Paola Pini
La fabbrica dei preti
Di: Giuliana Musso
Musiche: canzoni e musiche di Giovanni Panozzo, Daniele Silvestri, Marcello Serli, Mario D’Azzo, Tiromancino
Produzione: La Corte Ospitale
Interpreti: Giuliana Musso
Assistenza e ricerche fotografiche: Tiziana De Mario
Responsabile tecnico: Claudio Parrino
Collaborazione allestimento: Massimo Somaglino
Realizzazione video: Giovanni Panozzo e Gigi Zilli
Elementi di scena: Francesca Laurino
Ricerche bibliografiche: Francesca Del Mestre
Consulenza musicale: Riccardo Tordoni