Padova, Teatro Verdi, dal 1 al 5 febbraio 2017
Le donne gelose è la prima commedia scritta interamente in lingua veneziana da Carlo Goldoni. L’occhio dell’autore cade su un vicinato, durante i lazzi del Carnevale, animato da bottegai e mercanti ridotti in miseria dalla ludopatia. La vedova Lugrezia, ancora piacente, pratica in casa con Boldo, Todero e Baseggio l’usura e il nolo d’abiti. Essa anticipa, possedendone alcuni tratti distintivi, l’indipendente Mirandolina, denunciandosi quale femmina libera, padrona del corpo e del patrimonio. Sguardi in tralice, ingiurie, disprezzo per chi non tanto segretamente l’ama ne fanno una borderline. Tonina, Giulia e Chiaretta, manipolo di siore annebbiate dai più sozzi pensieri sui comportamenti sospetti di mariti e amanti, la reputano una meretrice. Le conversazioni delle gelose stentano se non trovano nella nemica comune il bersaglio delle proprie ire. Si ride, ma permane l’amaro d’una realtà labirintica da cui nessuno esce, se anche innanzi allo sposalizio altrui, vinti dal risentimento, si spera nel “pan pentio”.
Luca Ronconi aveva iniziato a lavorare su questo testo poco conosciuto scegliendo personalmente il cast e Giorgio Sangati quale aiuto regista. Poi la morte a una quarantina di giorni dal debutto. Sangati allora riprende in mano la piéce e confeziona un capolavoro. La Venezia ricreata dallo scenografo Marco Rossi e magistralmente illuminata dalla luci di Claudio De Pace è silenziosa, scura come la pece, fatta di palazzi neri senza infissi. Così lugubre che pure la veste d’Arlecchino perde i consueti colori sgargianti, le linee spigolose delle baute si curvano in teschi inquietanti e pure l’acqua del canale creatosi sul palco dopo la pioggia iniziale pare petrolio. I costumi classici di Gianluca Sbicca si adattano al contesto descritto con mantelli lordati dal costante strisciare sui masegni, braghe e calze che emanano unto, camicie sudate. Il confluire delle maschere al Ridotto per spiare le disgrazie altrui è trasformato da Sangati, con una perfezione da fuoriclasse, in un monumento al mondo odierno dove ancora regnano, e lo cito, l’“individualismo suicida” di tanta gente misera e “il culto del denaro”. Il problema dell’idioma, a onor del vero ostico in parte anche allo spettatore locale, viene risolto con soprattitoli in italiano.
La compagnia regala allo spettatore interpretazioni memorabili, ricordandogli quale alto livello di teatro si raggiunga quando interpreti dotati e regista competente impieghino al massimo le proprie potenzialità. Le voci non sono mediate dall’artificio del microfono, permettendo così di apprezzare le luci e le ombre di quel veneziano antico che ormai nessuno usa più. La partitura gestuale è rigorosa, in perfetta sincronia col recitato. Mai una sbavatura, un intoppo, un calo di tensione che facciano uscire gli attori dalla parte. Su tutti, Sandra Toffolatti trionfa quale Lugrezia sanguigna, maestosa nella sua nera figura vagamente somigliante ad Anna Maria Guarnieri nel medesimo ruolo (1985, De Bosio). Valentina Picello è una Giulia irruenta, nervosa nei movimenti e nelle parole, ma disarmata nei duetti col marito. Le fa da contraltare la più contenuta Tonina di Marta Richeldi, sempre al limite tra l’incredulo e l’indignato. Orsetta e Chiaretta, rispettivamente Sara Lazzaro e Elisa Fedrizzi, spiccano per vivacità e freschezza interpretativa, al pari del Baseggio di Ruggero Franceschini, sapiente nel non caricare troppo il ruolo di giovane innamorato con facili gigionerie. Sergio Leone, voce chiara e squillante, è un Boldo perentorio, ma rassegnato alla testardaggine della moglie. Più convenzionale, ma non per questo meno intenso, il Todero di Leonardo De Colle. L’Arlecchin di Fausto Cabra è una chicca da non perdere. Completano il cast Federica Fabiani come Siora Fabia e David Meden, Daniele Molino, Nicolò Parodi come maschere/servitori.
Pubblico numeroso all’ultima recita pomeridiana e caloroso successo per tutti.
Luca Benvenuti