Il 4 giugno 2017 al Teatro Vittoria di Roma
Brecht nel 1926 fa luce sulla confusione identitaria del proletariato, in grado di riconoscere se stesso nel gruppo e non più nell’individuo. In Un uomo è un uomo Galy riceve delle attenzioni dai soldati a cui non è abituato, che conquistano il suo ego fino a sottometterlo, stuzzicando in lui nuove emozioni. Così da scaricatore di porto diventa soldato tra i soldati, in un tempo così breve che nessuno avrebbe mai detto.
L’esercito inglese è arrivato a Kilkoa, spavaldi dal fondo della platea entrano i quattro soldati Uria, Jesse, Polly e Jip, cantando ebbri. Chi ha gli occhiali da vista e chi da elicottero, chi basso e chi alto, chi composto e chi no, danno tutti un’idea molto netta su di sé e ricordano l’estetica di Full Metal Jacket. Troppo giovani per andare in guerra, sotto i fumi adolescenziali incontrano la cruda e violenta incoscienza umana e ne vengono infettati. Il branco è la loro nuova famiglia da cui imparano a sopravvivere, scoprendo una giustizia diversa. Quando Jip perde una ciocca di capelli, per rubare il denaro della cripta, i tre amici lo lasciano lì promettendo di tornare a rasarlo per nascondere le tracce. Ma nella notte non lo vedono e nessuna remora li porta a cercare oltre, non serve più, hanno un sostituto, Galy Gay, e così viene abbandonato.
Con loro hanno il suo libretto quindi Jip ormai è solo un uomo, senza un ruolo nell’esercito, senza documenti che attestino il suo nome. Tutto è un gioco dove nessuno sembra potersi far male. Per convincere Galy Gay a restare gli propongono la compravendita di un elefante: due uomini travestiti a cui l’uomo crede ciecamente. Il paradosso si innerva nella coscienza e nei sensi fino a perdere di vista il mondo. Galy arriva a rinnegare di essere se stesso davanti la moglie e a riconoscere nella bara il suo corpo morto, essendo lui un altro. Quando il gioco ha preso il posto del vero? Il confine è mascherato e non si può ritornare indietro, il passato ormai è nebuloso e l’unica opportunità è farsi carico del futuro nuovo. Infondo il proprio nome è quello con cui gli altri ci chiamano, noi siamo ciò che gli altri percepiscono, altrimenti saremmo fuori dalla società, saremmo qualcosa di riconoscibile solo a noi.
Il testo di Brecht nelle mani di Lorenzo De Liberato si mostra in tutta la sua tragica comicità.
Il regista sembra aver lavorato sull’essenzialità, dove il testo è già stratificato su più livelli espliciti e la chiave comica è manifesta. Il rapporto tra oggetti scenici e finzione rappresentativa e tra costumi e interpretazione vive su due piani, dando l’impressione di un artificio svelato.
Una struttura di legno con un telo rosso rappresenta la cripta e poi scomposta diventa la locanda della vedova Begbick e il tribunale dell’asta dell’elefante. Una struttura semplice si presta a essere molto altro, chiedendo aiuto alla fantasia del pubblico.
I personaggi sono resi con genuinità e naturalezza: la voce, la postura e i gesti sembrano appartenere agli attori stessi che sono stati trasportati in un altro spazio-tempo, ritrovandosi con quei costumi addosso e quelle idee in testa a cui aderiscono con non curanza. Proprio la mancanza di percezione di sé, che è il nervo del testo, diventa anche la tessitura registica e interpretativa. Sembra che per essere tutto possibile basta che un gruppo di persone lo ritenga tale, non che lo sia davvero.
In questo espediente è fondamentale la convinzione del pubblico che viene accolto e provocato con inconsapevolezza. Gli attori fanno spesso il loro ingresso dal fondo rendendo la platea una continuazione del palco e ponendo lo spettatore proprio al centro, non per dire la sua, ma quasi per sentirsi osservato, colto in fragrante nel suo atto voyeuristico. Inoltre è curioso anche come molti monologhi chiave sono pronunciati spalle al pubblico, come per cercare un’intimità tra i personaggi che stanno prendendo coscienza della loro trasformazione, processo nel quale il pubblico può solo essere testimone ma non parte attiva e partecipante.
Vincitore della rassegna Salviamo i Talenti al Teatro Vittoria, Un uomo è un uomo verrà prodotto da Attori e Tecnici e inserito nella stagione teatrale 2017/2018. Se lo avete perso allora non temete, che molto presto si ripresenterà l’occasione giusta per voi.
Federica Guzzon