Roma, Teatro Eliseo. Dal 17 ottobre al 5 novembre 2017
Il romanzo di Vincenzo Cerami fu pubblicato nel 1976. Ne fu realizzato il bellissimo film di Monicelli, con Alberto Sordi, l’anno successivo. Sono passati più di 40 anni ed è amarissimo constatare come quell’Italia descritta da Cerami non sia cambiata affatto, basta attenersi agli ultimi fatti di cronaca, con lo scandalo degli esami universitari denunciati e venuti alla luce. Un borghese piccolo piccolo è, per la prima volta, rappresentato in teatro, messo in scena all’Eliseo fino al 5 novembre per poi proseguire in tournèe in tutta Italia. Piccolo piccolo, piccolissimo appare ai nostri occhi il personaggio di Giovanni Vivaldi interpretato da un intenso Massimo Dapporto, perfetto nel ruolo, eppure non si riesce a disprezzarlo. Come mai? La risposta è disturbante, ammettiamolo a noi stessi. Prendiamo atto del grande specchio costituito dal palcoscenico di fronte ai nostri occhi, Vivaldi siamo noi. La grandezza di Cerami e in questo caso di Dapporto, è sì quella di denunciare un modo di fare e di pensare, ma anche di collocare i protagonisti in un gioco che è più grande di loro, dal quale sei fuori se non ti adegui, inutile far filosofia. Giovanni Vivaldi è tenero col figlio ma pronto a tutto pur di garantirne un futuro borghese. Il posto fisso, la macchina, il conto in banca, una vita con tutto a portata di mano. Glielo deve il fantomatico Ministero, dopo una vita di lavoro, lo sente come un diritto. Il figlio è giovane, diligente, si impegna nello studio, non conosce ancora il mondo, non è ancora indurito e cinico come il padre. Il papà entrerà nella massoneria, su suggerimento del suo capo ufficio, un cialtrone naif ma detentore di un potere che si alimenta col vessillo del do ut des. Io ti aiuto, poi tu aiuti me. Il destino farà saltare tutte le carte in tavola e Giovanni Vivaldi attuerà la sua tremenda vendetta nei confronti del criminale che involontariamente ha ucciso suo figlio durante una sparatoria proprio mentre si recava a sostenere gli esami scritti del concorso per il quale aveva ottenuto le risposte in anticipo dalla massoneria. La storia la conosciamo bene, tragedia familiare nell’ambito di una tragedia sociale ben lungi dall’essere accantonata.
C’è una frase pronunciata da Dapporto-Vivaldi all’inizio della pièce, che fa rabbrividire, quando dice al figlio di pensare “solo al tuo avvenire, che gli altri si impicchino!”. La modalità giusta per ridurre un Paese come lo vediamo oggi. Spettacolo forte, come forte erano il romanzo e il celebre film di Monicelli. Va visto.
Paolo Leone