Teatro La Fenice, Venezia, dal 13 ottobre al 26 ottobre 2017
Don Giovanni, presentato nelle vesti del 2010 firmate Michieletto-Fantin-Teti, chiude col botto la stagione 2016/2017 del Teatro La Fenice di Venezia. Ripreso in cartellone più volte negli anni, ha registrato nella serata del 13 ottobre un incasso record di oltre 120.000 euro netti, spodestando così l’ultimo primato risalente alla Traviata del 23 settembre 2016.
Damiano Michieletto è fine conoscitore dei sentimenti umani. Fonda questo perfetto dramma giocoso su un principio congeniale al libretto ossia Don Giovanni come polo magnetico dell’azione verso cui tutti sono attratti e senza il quale la vita perde senso. Il seduttore, insensibile Unheimliche freudiano, è colui di cui si parla in continuazione anche quando è assente, colui che usa e getta le sue marionette ormai consumate dai “cento affanni e cento”. Michieletto concilia sapientemente tragico e comico, unendo alla forte ma mai eccessiva vena erotica un’originalità narrativa che evidenzia adeguatamente le varie dramatis personas. La stupenda scenografia girevole ideata da Paolo Fantin è fatta di pareti roteanti, stanze semivuote e porte sbattute alla spasmodica ricerca del perfido. Spazio che, per metafora, diventa il simbolo d’una selva libertina e dei labirintici autoinganni che la mente affetta da lussuria o monomia amorosa partorisce. In questo contesto, il light design di Fabio Barettin crea suggestivi giochi d’ombre sulle tappezzerie settecentesche, ove i personaggi diventano giganti. I costumi di Carla Teti sono classici, volutamente slavati, quasi impregnati dai diversi umori organici dei personaggi.
Il secondo cast, composto da talentuosi artisti, si rivela davvero interessante. Nel ruolo eponimo Adrian Sâmpetrean che possiede fraseggio pulito e considerevole controllo della voce, di velluto quando la circostanza lo richiede, perentoria nei momenti più concitati. Lo affianca egregie Andrea Vincenzo Bonsignore, Leporello disinvolto e competente, dotato di discreta tecnica e potenza d’emissione. Davide Giangregorio, giovanissimo artista campano, si rivela una piacevole scoperta. Il suo tormentato Masetto si distingue per la voce sontuosa nel volume, omogenea nei registri e dal fraseggio coerente, arricchito da cromie scelte con gusto. Patrick Grahl ha il difficile compito di dare corpo a Don Ottavio, titolare di due arie assai complesse. Il tenore non si rivela all’altezza delle arditezze tecniche scritte da Mozart, a causa della dizione migliorabile e delle insicurezze nell’acuto sovente forzato. Ancora una volta Attila Jun interpreta il Commendatore, vibrato ma imponente. Paola Gardina debutta nel ruolo dell’isterica Elvira con esito più che positivo. Perfetto il lavoro fatto sul personaggio quanto sulla voce, matura e disinvolta nel fraseggio come nel gesto espressivo. Donna Anna è totale incarnazione dell’inquietudine che nasce dal non detto, dalla dissimulazione nei confronti di Ottavio e dalle malandrinate compiute con Don Giovanni nella sua stanza. Valeria Mastrangelo la ritrae ottimamente grazie allo strumento potente, in grado di bellissime tenute durante Or sai chi l’onore, e predisposto a begli acuti pieni. La Zerlina di Irene Celle risente di problemi d’intonazione, evidenti nella seconda aria ed è un peccato perché di base la voce ha un peso particolare.
L’Orchestra è in forma smagliante e ciò si deve alla bacchetta di Stefano Montanari che sfrutta al massimo le potenzialità di ogni sezione, valorizzando in maniera eccelsa il linguaggio mozartiano. I tempi serrati scelti da Montanari, in particolare nei concertati e nei finali d’atto, mettono in difficoltà i cantanti, ma acquistano una loro logica nella lettura asciutta, pulita e sintetica che il direttore dà della partitura, spogliata per una volta da orpelli eccessivamente patetici e romantici.
Bene il Coro, preparato da Claudio Marino Moretti.
Al termine della recita del 17 ottobre, il nutritissimo pubblico tributa consensi calorosi per tutti, con addirittura parziale standing ovation della platea.
Luca Benvenuti