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La scrittura corsiva può salvarci la vita?

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Si potrebbe leggere questa bella apologia della scrittura corsiva iniziando dagli ultimi capitoli e da lì passare all’inizio. Un’operazione del genere non farebbe perdere il piacere di affrontare un testo che in modo agevole e leggero tratta un argomento proposto solitamente in modo molto tecnico e, anzi, innescherebbe una sana curiosità sul perché, nel 2017, ci si ostini ancora a desiderare che i bambini continuino a imparare a scrivere in corsivo.

Nelle ultime pagine de Il corsivo encefalogramma dell’anima di Irene Bertoglio e Giuseppe Rescaldina si trovano i giudizi dati da alcuni tra i docenti ed educatori della scuola per l’infanzia e primaria a conclusione del corso di aggiornamento “Prevenzione della disgrafia e avviamento al gesto grafico” e l’esempio della sperimentazione fatta al poligono di Novara con gli atleti (dai 12 ai 18 anni) della locale Squadra Sportiva di Tiro a Segno Nazionale.

Conoscere l’opinione di chi si occupa di educare bambini e ragazzi in modo informale e formale fin dall’età che precede la scolarizzazione è importante per comprendere quanto sia necessario dare la possibilità di riprendersi “il tempo necessario per l’apprendimento” o per “sentire” il movimento della propria mano che scorre, libera ma non troppo, soprattutto quando questo è stato ottenuto a partire da una “tecnica” che tanti, troppi, considerano obsoleta e quasi inutile.

In questo saggio c’è uno spunto che va ben oltre alla semplice questione del “corsivo sì vs corsivo no”. Lo si ritrova in modo costante e offre seri spunti di riflessione proprio grazie a questa sua presenza, ripresa in diversi contesti fin dall’introduzione: “…con l’uso diffuso della tecnologia, il pensiero lineare, che ha guidato lo sviluppo dell’uomo fino ai giorni d’oggi, sta per essere sostituito da un’altra forma di pensiero…” E ancora: “Con forme di pensiero differenti, anche le modalità comunicative cambiano, rendendo la comunicazione stessa molto difficile, soprattutto tra adulti e ‘nativi digitali’.”

È vero: ci troviamo di fronte a modalità di ricezione delle informazioni molto diverse rispetto ad un tempo relativamente recente ed esse portano con sé un’inevitabile necessità di organizzarle in modo nuovo, richiedendo una messa in crisi di modelli precedenti. Si pone allora l’inevitabile domanda: cosa tenere e cosa buttare? La questione non è per niente semplice e così ci si trova di fronte a situazioni molto confuse e spesso contradditorie, qui ben trattate: dalla tendenza a considerare l’apprendimento del corsivo una perdita di tempo, a una serie di ricerche anche recentissime, portate avanti in numerosi paesi occidentali che ne dimostrano invece l’importanza per una miglior efficienza cognitiva e una più profonda memorizzazione; dalla pervasiva presenza di tastiere anche in classe, ad importanti aziende multinazionali che investono in tecnologie in grado di trasformare, grazie a tavolette grafiche o a penne speciali da utilizzare su carta, appunti scritti a mano in file “word”, implicando il fatto che, forse, non è la scrittura manuale ad essere superata, ma le modalità di conservazione dei propri scritti.

Grazie ad un agile e scorrevole excursus storico viene esposta la storia della scrittura (cui segue anche una breve introduzione alla storia della grafologia e dell’insegnamento della scrittura in Italia), in modo da costruire un ponte fra passato e attualità. Attraverso di esso si coglie la portata non soltanto culturale, ma soprattutto sociale di uno strumento grazie al quale l’umanità è uscita dalla preistoria. Viene messo anche in evidenza quanto le diverse lingue nazionali abbiano condizionato la creazione delle diverse scritture sorte nei secoli e quale sia stato il legame tra l’attività degli amanuensi e quella degli artigiani, esperti nel trattare i metalli a seguito dell’invenzione della stampa a caratteri mobili.

23140546_748268088698131_492144776_nIl fatto che questo libro sia stato scritto a quattro mani da una grafologa educatrice e rieducatrice della scrittura e da uno psicologo psicoterapeuta ne aumenta la valenza, oltre ad mostrare una volta di più la necessità di trattare tale argomento in modo interdisciplinare: la grafologia è diventata anche in Italia una professione riconosciuta e dotata di molteplici ambiti di applicazione, sempre più libera da quegli stereotipi che la relegavano, nell’immaginario popolare del nostro paese a pratica al limite del folcloristico. Il merito di questa dignità finalmente acquisita va attribuito in primis all’Istituto Grafologico Internazionale Moretti e alla sua opera seria e rigorosa e a tanti professionisti che hanno mantenuto alto il livello di una scienza umana che non ha nulla da invidiare alle altre e che anzi, nelle sue varie applicazioni, può avere molto da dire in un lavoro integrato fra diverse discipline, come dimostra qui un capitolo dedicato alla descrizione del “Valore antropologico e psicologico della scrittura a mano”.

Lo stile molto discorsivo e accessibile di questo breve ma completo saggio ricco di immagini esemplificative si fa estremamente concreto nell’esposizione di come prevenire e, nel caso, risolvere quella che è diventata una vera emergenza educativa: le disgrafie sono inserite correttamente fra i DSA (Disturbi Specifici d’Apprendimento); purtroppo una scrittura manuale faticosa, disagevole, poco leggibile, molto spesso è causata non tanto da una difficoltà individuale quanto piuttosto da un cattivo apprendimento.

Gli Autori espongono a grandi linee le caratteristiche principali del “Metodo Primavera” che, costruito sulla solida base di molti studi francesi e italiani, affronta la questione da una prospettiva che favorisce la passione di docenti e allievi, nella convinzione che “sorriso e divertimento sono il segreto del progetto di avviamento al gesto grafico”. È un apprendimento di tipo intuitivo, emotivamente ricco e significativo, unito ad un serio lavoro sulla costruzione della consapevolezza di docenti e allievi su quel che si sta facendo.

Ora come ora non è possibile prevedere quali saranno gli sviluppi futuri e dove porteranno le nuove modalità di pensiero che sembrano andare in una direzione diversa rispetto a quello lineare, per millenni alla base del mondo occidentale, ma non è assolutamente certo che, qualunque cosa avvenga non possa prevedere un nuovo uso del corsivo o di una sulla ulteriore evoluzione; quindi, nel dubbio, forse e meglio continuare a insegnarlo, a impararlo, a usarlo. Ormai è chiaro che male non fa.

Paola Pini

Irene Bertoglio
Giuseppe Rescaldina
Il corsivo encefalogramma dell’anima
La memoria del mondo Libreria Editrice 2017

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