Trieste, Politeama Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Sala Bartoli, dal 2 al 19 novembre 2017
Con la nuova produzione della propria Compagnia Stabile assieme ad alcuni attori “ospiti” per la regia di Franco Però, il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia mette in scena una commedia non molto presente sulle scene italiane. Quando Carlo Goldoni scrisse La guerra, contemporanea ai Rusteghi, era ormai il drammaturgo maturo che un paio d’anni dopo avrebbe lasciato per sempre Venezia, chiamato a Parigi dalla Comédie Italienne.
Avendo desiderato riformare, ma non rivoluzionare il teatro della sua epoca, lo fece in modo graduale, abituando poco a poco il pubblico a una sempre maggior stabilità del testo (non più il canovaccio tipico della Commedia dell’Arte, ma completamente scritto), spesso cucito con attenzione addosso a questo o quell’attore della Compagnia per la quale di volta in volta avrebbe lavorato.
Le spigolose maschere tipiche del passato furono da lui ingentilite attraverso la creazione di personaggi reali, vivi e pure esemplificativi dei molteplici aspetti della natura umana, unendo con sapienza sopraffina la conoscenza del “Mondo” con quella del “Teatro”.
Gli aspetti descritti ne La guerra costituiscono un perfetto microcosmo attraverso il quale si ha il privilegio di osservare quel che avviene nel tempo sospeso, negli opposti eserciti, tra un assalto alla fortezza da conquistare, la fragile tregua e la pace ottenuta grazie all’intervento dell’invisibile Sovrano degli assedianti, il “Deus ex machina” della classicità, che da lontano risolve l’impasse generata dalla rottura della tregua a causa dei formalismi rigidi provocati dai generali.
In questo mondo piccolo vediamo di tutto, a partire dal monologo del cinico ma realistico Don Polidoro (Mauro Malinverno), il Commissario dell’armata che con semplicità paragona il suo “naturale” desiderio nel proseguimento delle battaglie a quello di un medico o di un avvocato che, qualora sperassero rispettivamente nella salute dei propri pazienti o nella pace interna alle famiglie, andrebbero in rovina.
Il conflitto appare qui in tutta la sua realtà feroce espressa chiaramente ma ben sfumata nel contrasto fra affetto, dovere e necessità che convivono nell’animo di Faustino (Filippo Borghi), Alfiere dell’esercito assediante, amato e ricambiato da Donna Florìda (Federica De Benedittis), figlia del comandante della fortezza assediata.
Gli alti idealismi della giovane sono d’altra parte regolarmente messi in discussione da Donna Aspasia (Ester Galazzi), che condivide senza alcuna remora le idee del padre Don Polidoro, sua prima complice assieme a Orsolina (Maria Grazia Plos), che per conto del genitore vende generi vari all’armata e che spera di sposare, per migliorare la propria condizione e passare da lavandaia a “Commissaria”.
Nella bella scenografia di Andrea Viotti (che firma anche i costumi) in cui vengono rappresentate con realismo le cupe retrovie di un campo militare contemporaneo a Goldoni, si muovono numerosi credibili personaggi: il Conte Claudio (Giulio Cancelli) tenente, schiavo del gioco e nobile gradasso; Don Ferdinando (Gilberto Innocenti), alfiere in competizione con Don Faustino; Don Cirillo (Adriano Giraldi), tenente reso storpio in battaglia, la cui vitalità spinge a desiderare ancora di partire presto all’assalto; Don Fabio (Stefano Pettenella), alfiere.
Il lieto fine giungerà con la pace fra gli opposti eserciti e i due comandanti, l’assediato Don Egidio (Francesco Migliaccio) e l’avversario, ma non nemico Don Sigismondo (Riccardo Maranzana), potranno finalmente abbracciarsi felicitandosi entrambi con sincerità per le imminenti nozze tra Donna Florìda e Don Faustino.
Il “malvagio” Don Polidoro verrà privato della carica di Commissario e di tutti i suoi illeciti guadagni, salvaguardando la dote per la figlia Donna Aspasia.
La regia di Franco Però offre una messinscena pulita, senza inutili orpelli o superflue esagerazioni nei toni o negli accenti e gli attori ne danno un’interpretazione corale, altrettanto ben definita.
Il testo di Goldoni, così denso di rimandi a un mondo ormai perduto in cui la nobiltà e il rispetto per l’avversario suscitano nostalgia e rimpianto, si mantiene felicemente attuale grazie all’elegante esposizione di quel che si mantiene eterno e costante nella natura umana. Rispettare l’essenza delle opere classiche, mettersi in ascolto di quel che ci vogliono dire è il miglior modo per renderle più adatte al nostro presente.
Paola Pini