Al Teatro Brancaccio fino al 18 febbraio 2018
Prendi l’epica cavalleresca, ma quella coi pilastri spessi, irrobustiti da virtù ed eroismo. Ora visualizza bene quei piloni impreziositi da inserti onirici, magie e creature fantastiche. Adesso monta su un caterpillar e vacci a sbattere contro. Fallo con la guida a destra, insieme ad altri cinque “mancini” come te, e ti chiami Monty Python. Trova il coraggio, dopo qualche lustro, di cambiare carreggiata e guidare un caterpillar in Italia e ti chiamano “Elio e le Storie Tese”. E se non l’hanno fatto, avrebbero dovuto. Almeno prima che la band milanese si sciolga per sempre, dopo quasi 40 anni di onorata carriera.
Quelli (c)attivi al Brancaccio, ad onor del vero, sono solo due: Elio e Rocco Tanica. Ma il non-sense è di casa, a teatro come nell’irriverente band che ha da poco chiuso l’ultima esperienza sanremese.
Quindi, di ritorno al musical dopo La Famiglia Addams, Elio veste i panni di Re Artù – rigorosamente glitter pop, come tutti i costumi di Roberto Brancato. Condividono la scena con il loro sovrano i cavalieri della rotondissima, superlativi: Pierpaolo Lopatriello, Thomas Santu, Andrea Spina, Umberto Noto, Filippo Musenga. Su tutti, svetta l’esplosiva dama del lago, Pamela Lacerenza.
La regia di Claudio Insegno (Jersey Boys e La febbre del sabato sera) ottimizza gli spazi e trova buon materiale nelle coreografie di Valeriano Longoni.
Giusta la direzione musicale di Angelo Racz (Hairspray, Jersey Boys).
In due atti e oltre due ore di live, Spamalot dissacra i cliché dei poemi bretoni: i cavalieri non spiccano per coraggio né per ingegno (il sacro Graal è ritrovato per intervento esterno); la dama del lago si autopropone in moglie, con un marketing matrimoniale d’impatto, i cavalieri sono gay, Camelot è una Las Vegas ante-litteram.
È humour inglese, quanto ci piace. Poco importa se qualche critica maligna ha definito il musical originario “comodo”, perché il Python non si sarebbe allontanato dalla comfort zone in cui ha sguazzato per anni. In Italia non sono poi così famosi questi Python (?!?) e, in ogni caso, gli adattamenti di Rocco Tanica meritano almeno un pellegrinaggio, a cavallo.
Maria Vittoria Solomita