Non mi stancherò mai di ripeterlo: i videogiochi sono a tutti gli effetti delle opere d’arte e vanno quindi considerati come prodotti culturali aventi pari dignità rispetto agli altri media (cinema, televisione, radio, internet ecc.). Più precisamente, i videogiochi sono Opere Multimediali Interattive (OMI), cioè espressioni artistiche della creatività e dell’ingegno umano finalizzate non solo e non necessariamente all’intrattenimento, ma anche alla comunicazione di messaggi, idee e stati d’animo, oltre che alla produzione di emozioni; è pertanto naturale che anche i videogiochi dispongano di una “casa” in cui poter essere valorizzati, conservati e studiati con la considerazione e il rispetto che meritano.
Sono queste le idee che hanno ispirato i fondatori del VIGAMUS, il Museo del Videogioco di Roma (www.vigamus.com), un unicum nel panorama nazionale e tra i più importanti musei videoludici in Europa, tappa irrinunciabile per tutti i videogiocatori del Bel Paese e non solo. Allestito e curato da veri esperti (oltre che appassionati) del settore – il direttore Marco Accordi Rickards è docente presso la VIGAMUS Academy, che organizza corsi di laurea in comunicazione con indirizzo videogiochi – il museo propone un percorso espositivo di tipo storico/didattico, corredato di pannelli e video dimostrativi, che rievoca le tappe salienti della storia del videogioco dalle origini fino agli anni della definitiva affermazione. Si parte dal rudimentale oscilloscopio di Tennis for two (1958), passando poi per la nascita di Atari e il successo planetario di PONG (1972) grazie alle visioni del pioniere Nolan Bushnell, per arrivare alla grande crisi del settore nel 1983 (con Atari che, prossima al fallimento, seppellirà nel deserto del New Mexico tonnellate di rimanenze di magazzino, tra cui migliaia di copie del famigerato gioco E. T. the Extraterrestrial) e alla successiva rinascita con l’avvento dei giapponesi (Nintendo su tutti), un processo di crescita tuttora in corso che ha portato l’industria dei videogiochi a generare un fatturato annuo tre volte superiore a quello del cinema. Sono presenti anche sezioni che approfondiscono alcuni argomenti specifici come, per esempio, quella dedicata al defunto genere delle avventure testuali o quella relativa alla nascita di Pac-Man, probabilmente l’icona videoludica più famosa di sempre.
Ma il VIGAMUS è molto altro ancora. Essendo dedicato al medium interattivo per eccellenza, non poteva non offrire ai visitatori la possibilità di godere in maniera tangibile della peculiarità che distingue il videogame dagli altri mezzi di comunicazione di massa: l’interattività, ossia il gioco. E tra la cinquantina di postazioni a disposizione, ce n’è davvero per tutti i gusti: oltre alle console principali di Nintendo, Sega, Sony e Microsoft (a queste ultime, cioè alle varie incarnazioni di Xbox, il museo riserva una sala a parte), è possibile respirare di nuovo l’atmosfera delle mitiche – e, ahimè, pressoché scomparse – sale giochi di una volta grazie alla presenza di cabinati arcade originali (come quelli di Space Invaders e Hang-On, due pietre miliari nella storia dei videogiochi) e coin op vari (come i due dedicati ai giochi della mitica SNK: io stesso non ho resistito e ho fatto una lunga partita all’epocale Samurai Shodown II), tutti configurati in modalità “Free Play”, e quindi giocabili gratuitamente (anche se il nostalgico doc preferirebbe forse inserire le monetine…); sono presenti, inoltre, postazioni dedicate alle tecnologie più recenti, come la Oculus Room, in cui si può sperimentare la VR – realtà virtuale – grazie al rivoluzionario Oculus Rift DK2, il visore creato da Oculus VR.
Non manca, infine, un’area shop che, oltre a vari gadget a tema (come magliette e modellini), propone un’interessante selezione di libri dedicati a videogiochi e dintorni, con la presenza, in particolare, delle pubblicazioni della recente collana “Game Academy” di Edizioni Unicopli (tra i titoli, il Manuale di critica videoludica di Marco Accordi Rickards e la Guida al Game Publishing di Daniela Falcone). Si possono poi acquistare anche i vari numeri della rivista Retrogame Magazine (purtroppo sospesa recentemente), l’unico punto di riferimento cartaceo per i retrogamers italiani e una preziosa guida per riscoprire “i videogiochi di una volta”, come recita la frase in copertina.
Per concludere, non posso che sintetizzare la mia esperienza al VIGAMUS definendo quest’ultimo come un atto d’amore verso i videogiochi, perciò se amate questo mondo o volete approfondirne la conoscenza (anche per superare eventuali pregiudizi o timori), quando verrete a Roma, oltre a gettare una moneta nella Fontana di Trevi e fare i gladiatori al Colosseo, inserite il VIGAMUS tra i luoghi da visitare: ne vale la pena. Parola di gamer.
Francesco Vignaroli