Trieste, Politeama Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Sala Assicurazioni Generali. Dal 3 al 7 aprile 2019
In una sala affollata da un pubblico molto giovane al punto da abbassare di molto l’età media, la versione teatrale di “Dieci piccoli indiani”, il notissimo romanzo scritto da Agatha Christie alla fine degli anni Trenta del Novecento, già soggetto di moltissime versioni cinematografiche, giochi e altro ancora, risulta essere tuttora attuale, se all’uscita dal teatro, il Politeama Rossetti di Trieste, si sente dire da uno studente a un altro: “Devo dire ai miei genitori di venire a vederlo!”
Salutata da applausi entusiastici, la messinscena funziona bene, grazie alla solida regia di Ricard Reguant e alla sagace traduzione di Edoardo Erba, i cui dialoghi sono ricchi di battute divertenti senza mai perdere di vista il denso intreccio della trama, nel quale dieci personaggi si muovono all’interno di una “camera chiusa” (un’isola non ha vie di fuga se vi infuria una tempesta) mantenendo costante il sospetto di non essere da soli e aggiungendo così la presenza di un ipotetico personaggio, autore degli innumerevoli delitti che portano gli ospiti a essere uno a uno, è il caso di dirlo, decimati.
Al centro della vasta e funzionale scenografia di Alessandro Chiti troneggia un’ampia colonna sulla quale appare fin dall’inizio l’intera filastrocca iterativa, i cui soggetti sono qui modificati: non più i dieci piccoli indiani – injuns nella prima edizione statunitense scritta nel 1868 da Septimus Winner da cui ne derivarono tante altre in diverse lingue (i negretti della successiva, ad esempio, sia in inglese che in tedesco).
Qui a morire uno a uno sono dei soldatini.
Dieci statuette li rappresentano, disposte alla vista di tutti su una mensola che circonda il pilastro. Esso scandisce, evidenziando visivamente la strofa che il pubblico sente recitare da una voce infantile e stereotipata fuori campo, la stazione raggiunta dai superstiti dopo ogni nuova morte.
Conto alla rovescia, posto a segnare il ritrovamento di ogni vittima e disporre gli altri all’attesa di quella successiva, costituisce forse l’elemento più crudele dell’intera vicenda, architettata da un assassino lucido e geniale: il tempo scandito da un invisibile angelo della morte.
Ottime le caratterizzazioni esasperate dei personaggi, ben curate non soltanto nello stile di recitazione, ma anche dai costumi (di Adele Bargilli) e dalla presenza scenica, funzionali per riconoscerli con sicurezza vista la rapidità in cui si svolge la trama, che mantiene opportunamente il senso del finale proposto nella versione letteraria originale, non sempre rispettata in quelle cinematografiche.
Ivana Monti è magnifica nel rendere la risoluta e dogmatica Emily Brent, Carlo Simoni è l’autoritario Giudice Wargrave, Pietro Bontempo il cinico Capitano Lombard, Leonardo Sbragia il vanesio e viziato Antony Marston, Silvano Piccardi il ciarliero Blore, Alarico Salaroli il vendicativo Generale McKenzie, Giancarlo Ratti il misterioso Dottor Armstrong e Caterina Misasi la fragile Vera Clayton. Completano il quadro Giulia Morgani e Tommaso Minniti, gli ambigui coniugi Rogers, assunti per l’occasione dall’assassino.
L’artefice del piano li ha tutti assunti, ingaggiati o invitati usando i più diversi e convincenti stratagemmi, con il preciso intento di ucciderli tutti…e non rimase nessuno!
Paola Pini