Lo scorso dicembre 2018 ho pubblicato con Streetlib editore il mio terzo libro dal titolo “Filobiografia. Teoria e pratica dell’incontrare per incontrarsi”. Lo stesso è stato introdotto magistralmente da Stefano Duranti Poccetti e dal Sindaco di Anghiari Alessandro Polcri, con la partecipazione del pittore Maurizio Rapiti, che ha prestato la sua opera “La cura”, la quale fa da copertina al testo. Un volume che stavolta non racchiude una raccolta di poesie, bensì riporta frammenti della mia autobiografia e sopratutto racconta la mia passione e amore verso la Ricerca, centrata in particolare sulle dinamiche delle relazioni umane, interesse che mi ha condotto a notare degli aspetti che mi hanno portato alla Filobiografia, di cui oggi, per la prima volta, dopo l’uscita del testo, ho deciso di iniziare a parlare, e lo faccio iniziando a raccontarla al pubblico di una testata giornalistica a cui sono molto legato.
La Filobiografia parte dal concetto che ogni singolo individuo è fatto di una sua autobiografia e di una biografia. Quest’ultima – che in particolare fa riferimento alla biografia di ogni singolo albero genealogico – determina spesso l’autobiografia del soggetto umano. Questo è fatto di storia, che non si ferma solo al suo vissuto, ma ha un precedente (Giuseppe Sanfilippo, Filobiografia. Teoria e pratica dell’incontrare per incontrarsi, Streetlib editore), scaturito da quello che hanno vissuto anche i propri genitori o tutti i membri del suo albero genealogico. È storia che non passa, bensì è storia del presente che guarda il futuro. È presente perché ella determina la tua vita e a volte la tua stessa condotta o ciò che sei divenuto (Giuseppe Sanfilippo, Filobiografia. Teoria e pratica dell’incontrare per incontrarsi, Streetlib editore), in un contesto in cui si sviluppa un processo non propriamente ereditario, bensì una sorta di incarnazione. Ad esempio, studiando la biografia del mio albero genealogico, ho potuto notare che vi è stato uno zio possedente un sogno, ma che non lo ha potuto realizzare per una serie di motivi; poi muore, ma quel sogno si incarna nella mia persona in modo così naturale e spontaneo. È come se in questa esistenza lasciamo un filo a chi lasciamo. Questo è un esempio di natura semplice, ma questa specie di incarnazione avviene in un modo anche più complesso che si si lega a un episodio sgradevole, come vedremo più avanti. In questa prospettiva, chi conosce l’approccio della psicogenealogia della terapista Anne Ancelin Schützenberger (la prima studiosa al mondo che ha analizzato l’autobiografia, ponendola verso uno studio scientifico), potrebbe asserire che non sto dicendo nulla di nuovo. La stessa studiosa ha notato che siamo semplici anelli in una catena di generazioni. In un contesto in cui diveniamo vittime di eventi e traumi già vissuti dai nostri antenati, appartenenti al nostro albero genealogico. In effetti, nel corso della mia ricerca, curando la storia del mio albero genealogico, ho potuto notare aspetti e punti che la stessa studiosa ci ha detto. Scoprire il suo lavoro per me è stata una grande emozione. Ma la Filobiografia non nota e non ricerca propriamente quegli anelli di cui la Schützenberger ci ha parlato. La Filobiografia nota aspetti più quotidiani. La Filobiografia è una scienza dell’anima, che ci impone invero un traguardo: “incontrarci per conoscerci”. Uno spazio fisico e metafisico con cui gli individui e le comunità possano tra loro dialogare, trovare quella conoscenza che si sviluppa in modo a noi inconsapevole in una fitta rete di fili uniti che determinano il nostro agire umano, il nostro stato d’animo e la nostra condotta. La Filobiografia è una pratica dell’anima volta a sbloccare, slacciare quei fili che noi manifestiamo in modo inconsapevole. Gli stessi fili non sempre fanno riferimento a qualcosa di angosciante che il soggetto umano vive e manifesta nella sua inconsapevolezza. Vi sono infatti fili a noi inconsapevoli, come prima si diceva, ma anche consapevoli, che il soggetto umano non riesce però a slegare. La Filobiografia è volta a individuare questi fili, che sono stati ereditati o che sono venuti alla luce in seguito a determinati eventi e a slegarli. Fili che possiamo concepire come una sorta di incarnazione di atteggiamenti, comportamenti – linguistici sopratutto – che un singolo soggetto manifesta in modo inconsapevole. Gli stessi che non dobbiamo nemmeno concepire come inconsci, poiché essi vengono manifestati inconsapevolmente nel quotidiano. Fili che in un primo momento possiamo concepire come trasmissioni di valori etici – morali. Gli stessi che ripetiamo, che custodiamo e che sono difficili da mutare, ma mai immutabili. Ma questi sono legami che possiamo individuare come processi di trasmissione. Ma mai come processo di una sorta di incarnazione. Cosa significa questo e come avviene tale processo?
In semplici parole, il tutto si attiva nei rapporti interpersonali e spesso familiari. In precedenza ho accennato un esempio semplice, ma spesso questo tutto può fare anche riferimento a piccoli e medi traumi o offese che un singolo soggetto subisce o che ha subito, ad esempio da parte di un genitore. Ipotizziamo di vivere un genitore da cui subiamo delle frasi o parole che feriscono il nostro animo. Chiamiamole “ferita” o “trauma lieve”, poiché spesso quelle parole o frasi passano nel dimenticatoio. Ma può capitare – e di fatto avviene – che in modo inconsapevole spesso ripetiamo quel gesto, quell’atteggiamento che abbiamo subito con i nostri figli. In altre parole, quello che ad esempio un nostro nonno ha fatto subire a un nostro genitore – il nostro padre si fa quindi incarnazione dell’atteggiamento e comportamento di suo padre e ripete così quel gesto. In un contesto, in cui non si tratta di un fattore genetico, bensì di una sorta di conflitto o dolore che non è stato superato propriamente. Non si tratta di un trauma vero e proprio ma di qualcosa legato a una sorta di eredità, che torna alla memoria misteriosamente, generando così altri conflitti. Lo studio condotto in prima persona rileva quindi una sofferenza del soggetto umano che vive nella propria anima, che segna la vita, pur se tale segno non viene riconosciuto, ma vive in modo inconsapevole. In questo itinerario la Filobiografia è un ramo della filosofia pratica, volta a individuare quei fili o legami che bloccano l’individuo nelle sue molteplici relazioni, ma non serve a “curare”, perché essa non è una terapia, ma una pratica volta a incontrare e incontrarsi. Infatti, incontrando possiamo capire meglio noi stessi e i nostri simili e migliorare le nostre relazioni.
La ricerca della Filobiografia, nel corso del tempo, si è spostata anche verso la storia e la biografia sociale. Viene fuori che noi, pur se esseri capaci di mutare certi pensieri e modi di relazionaci, siamo anche soggetti che ci facciamo incarnazione dei pensieri appartenenti ai nostri precedenti. E la cosa più esaltante è che in modo inconsapevole riveliamo nel linguaggio aspetti che abbiamo in qualche modo ereditato, ponendoli in una sorta di critica, ma rimaniamo legati a dei fili che non sleghiamo mai. Tutto questo non avviene solamente in rapporto alle relazioni umane, ma anche in rapporto con gli oggetti con cui ci rapportiamo. Infatti, lo scorso anno è stata scoperta dagli archeologici una scarpetta in pelle straordinariamente conservata, risalente al 90 d.C.. Ritrovata in un pozzo nei pressi dell’antica fortezza romana di Saalburg in Germania. La stessa scarpetta ci rivela che spesso molte delle nostre abitudini e modi di fare di oggi sono retaggi di epoche antichissime (in Scoperta in un pozzo una bellissima scarpa romana di 2000 anni fa, www.roma-artigiana.it). Infatti, nell’Antica Roma le scarpe rappresentavano uno status symbol, proprio come lo sono in parte oggi. (in Scoperta in un pozzo una bellissima scarpa romana di 2000 anni fa, www.roma-artigiana.it). Ma oltre questo, se osserviamo questa scarpetta ritrovata, possiamo notare che da un punto di vista di disegno, stile è molto simile alle scarpe che noi usiamo oggi. È come se le ricerche mostrano che subiamo e affrontiamo dei mutamenti, ma restiamo sempre e comunque legati a dei fili. Come è anche vero che si ripetono degli eventi, poiché siamo appunto anelli fatti di legami, fino a quando forse non si risolvono.
In conclusione, la Filobiografia non è solo una tematica di ricerca, ma anche una pratica filosofica volta ad attenuare molte difficoltà di gruppo e familiari. Il tutto in un processo in cui il soggetto vive un processo di incontro e incontra se stesso.
Giuseppe Sanfilippo