Il ritardo, poi il trionfo: Ms. Lauryn Hill chiude UJ 19 lasciando il segno

Data:

Umbria Jazz, Perugia. Domenica 21 luglio 2019

Per la serata conclusiva di questa memorabile edizione di Umbria Jazz 19 l’Arena Santa Giuliana si è vestita in elegante total black, con i concerti di Christian McBride e Ms. Lauryn Hill.

Ad aprire le danze ci ha pensato il portentoso bassista e contrabbassista statunitense (classe 1972) con il suo progetto “A Christian McBride Situation”: un set di grintoso acid jazz e funk in cui il protagonista, accompagnato da ben due DJ (tra cui il celebre coetaneo DJ Logic), ha alternato l’utilizzo di contrabbasso e basso elettrico. Tra i brani in scaletta, Spirit of Joy dell’ottima pianista e tastierista – dal tocco funk à la George Duke – Patrice Rushen, e la classica It Don’t Mean a Thing; l’unico, autentico momento di jazz è arrivato durante l’intensa esecuzione acustica dello standard In a Sentimental Mood, con in primo piano la voce della cantante Allyson Williams e il sassofono di Ron Blake (per l’occasione, i DJ hanno fermato i piatti e fatto un passo indietro). Gran finale e pubblico scatenato con un’infuocata versione di Sex Machine: che James Brown sarebbe stato in qualche modo evocato lo si poteva già intuire dalla t-shirt a tema indossata da McBride…

Poi, poco prima delle 22:30, terminata l’esibizione di McBride da un po’, è arrivato l’annuncio dell’attesissimo concerto di Ms. Lauryn Hill, per il gran finale di Umbria Jazz. Come di consueto nelle esibizioni della Hill, si è partiti con un DJ set di “riscaldamento”, affidato in questo caso a DJ Reborn, che ha fatto scattare in piedi tutti (o quasi) i presenti, colti da un entusiasmo iniziale trasformatosi ben presto in frustrazione: ci si aspettava che questa introduzione durasse venti minuti, mezzora al massimo, invece si è arrivati a un’ora e un quarto, nel corso della quale la “povera” DJ si è resa conto di aver l’ingrato – e, diciamolo, alla lunga pure indigesto – compito di “tappare il buco” lasciato dall’ennesimo ritardo di Lauryn Hill, non certo nuova a questo genere di situazioni (aspettarsi che un suo live cominci in orario è un puro atto di fede da parte dei fan…). E così, mentre dalla console dell’imbarazzata – e a tratti imbarazzante – DJ Reborn se ne sentivano “di ogni” (dall’agghiacciante remix di Tu vuò fa’ l’americano degli australiani Yolanda Be Cool al tormentone italiano dell’estate 2015 Roma-Bangkok, per arrivare a Rock With You di Michael Jackson e I Wanna Be Your Lover di Prince), tra il pubblico il malumore si faceva sempre più evidente, accompagnato da una ridda di voci incontrollate sulle sorti del concerto e della cantante (“Sta arrivando”/”E’ arrivata”/”Non è ancora arrivata”/”Non arriva più”, e via…).

Finalmente, alle 23:45 circa Lauryn Hill si è manifestata, tutta di bianco vestita, quasi come un’apparizione eterea, soprannaturale. Un’ora (arrotondando per difetto) abbondante di ritardo, ma ce l’abbiamo fatta! Niente scuse rivolte al pubblico né preamboli, ma subito grande musica, grazie alla quale l’artista è riuscita a farsi perdonare entrando immediatamente in sintonia con i fan, spazientiti per la lunga attesa ma poi rasserenati come per magia dalla sua voce (e che voce!).

La tappa di Umbria Jazz fa parte del tour celebrativo, partito l’anno scorso, per i venti anni dall’uscita dell’acclamatissimo album-capolavoro The Miseducation of Lauryn Hill (1998), vero e proprio manuale di black music, emozionante e perfetto dalla prima all’ultima nota. Una ricorrenza ancor più importante e significativa considerando che, a tutt’oggi, oltre che il primo The Miseducation rimane – purtroppo – l’unico album in studio della Hill, a cui ha fatto seguito solo l’incerto live MTV Unplugged No. 2.0. Poi, nulla più, ad eccezione di qualche collaborazione e una manciata di brani sparsi qua e là. “COSA HO FATTO IN QUESTI VENTI ANNI?”, spiega, quasi giustificandosi, l’artista a un certo punto del concerto: “HO CERCATO DI MIGLIORARE COME PERSONA E COME MADRE; HO CERCATO DI PROTEGGERE LA MIA INTEGRITA’, LA MIA FEDE E LA MIA MUSICA”. Il tutto, infischiandosene di un’industria discografica – alla quale non ha certo risparmiato i suoi consueti strali – che vorrebbe invece dagli artisti solo produzione & profitto. Dal suo punto di vista, quindi, questi anni di assenza pressoché totale dalle scene sono stati ben spesi, e dedicati a cose più importanti del successo.

Dopo il boom dell’album The score (1996) con i Fugees (ve li ricordate?), il successivo scioglimento del gruppo e l’inizio della carriera solista con un album del livello di The Miseducation, a soli ventitré anni Lauryn sembrava lanciata alla conquista del mondo, anzi, delle stelle… Invece, a sorpresa, l’artista ha poi deciso di collocarsi – non senza una vena polemica di fondo – ai margini del music business, preferendo anteporre gli impegni familiari (la relazione col compagno Rohan Marley, figlio di Bob, e soprattutto la crescita dei figli) alla carriera. Un vero peccato, dato l’inestimabile valore di questa artista, una vera virtuosa della vocalità che nell’album di debutto ha messo in mostra, oltre a una notevole abilità compositiva, una sbalorditiva e pressoché unica capacità di passare dal canto al rap come se fosse la cosa più naturale del mondo. Per una curiosa coincidenza (o forse no), nel disco è contenuto un duetto, la splendida e raffinata Nothing Even Matters, realizzato con l’artista che, quanto a prolificità, potremmo quasi considerare il corrispettivo maschile della Hill: D’Angelo. Un altro talento immenso, un’istituzione in ambito nu soul e r&b, ma in venticinque anni di carriera ha realizzato solo tre album in studio e uno live

Tornando al concerto di Umbria Jazz, se la scaletta non ha riservato particolari sorprese (niente inediti né cover nuove) le esecuzioni di alcuni brani avranno senz’altro spiazzato (e in alcuni casi deluso) parte dei fan, vista la propensione della Hill (piuttosto abituale, a dire il vero) a manipolare, cambiare e in alcuni casi stravolgere la sua opera (inserendo, ad esempio, parti rap al posto del cantato originale) durante i live. E dimenticatevi pure la pulizia sonora delle incisioni in studio: il set perugino ha messo in mostra un audio sporco da “sangue, sudore & lacrime”, con bassi pompati e in distorsione, che non hanno comunque impedito all’emozionante e paradisiaca voce della cantante di svettare limpida su tutto e tutti. Alle spalle di Lauryn e della band (tutti ottimi musicisti, più tre coriste di rilievo), un maxischermo sul quale scorrevano immagini legate alle tematiche affrontate dai testi delle canzoni.

L’esibizione è cominciata, proprio come il disco, con la rabbia del grintoso rap Lost Ones; poi Everything is Everything, Superstar, la spirituale Forgive Them Father, la stupenda Ex-Factor (forse la canzone più bella in assoluto di Lauryn Hill), la cover di Can’t Take My Eyes Off You (una delle due tracce bonus del disco), la toccante dedica al primogenito To Zion, la sofferta The Miseducation of Lauryn Hill e la trascinante Doo Wop (That Thing). Insomma: il meglio dell’album solista (peccato, però, per l’assenza di Every Ghetto, Every City…). Finale con le canzoni più famose del  repertorio Fugees: Killing Me Softly (il brano della svolta, cover di un pezzo anni Settanta celebre anche nella versione di Roberta Flack), Fu-Gee-La e Ready or Not. Vista l’ora (si era giunti oltre l’una di notte…), la cantante non ha concesso bis ma a sorpresa, alcuni minuti dopo la fine del concerto, è tornata ed è scesa dal palco per concedersi un po’ ai fan (forse anche un modo originale di scusarsi  per il ritardo), andati subito in delirio: l’ultimo fuori programma di una serata lunga ma appagante, che ha chiuso degnamente Umbria Jazz 19.

Francesco Vignaroli

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