Trieste, Teatro Lirico Giuseppe Verdi, 13 e 14 settembre 2019
Un programma serrato e vivace, giocato tutto sul virtuosismo del solista da una parte e sulla complessità delle emozioni suggerite dall’orchestra dall’altra, attraverso la proposta di autori tra loro contemporanei e in relazione più o meno stretta tra loro.
Il secondo concerto della Stagione Sinfonica al Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste ha giocato con successo su tale equilibrio alternando con efficacia i due generi e seguendo un interessante ordine di presentazione delle diverse opere.
Se infatti al centro sono stati indubbiamente posti i due concerti per pianoforte e orchestra di Franz Liszt, eseguiti in ordine inverso rispetto alla loro creazione, il loro fluire è stato preceduto e “interrotto” da due composizioni esclusivamente orchestrali, scritte entrambe per il teatro.
Tre sono stati i protagonisti: il pianista Giuseppe Albanese, brillante virtuoso; la Direttrice Silvia Spinnato, dal gesto morbido e preciso, capace di esprimere con eleganza il controllo sull’intero palcoscenico, dando l’impressione di avere nelle proprie mani la materia sonora nella sua totalità; l’Orchestra della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste impegnata sia nel suo complesso sia nell’ampio coinvolgimento dei tanti solisti richiesti dalle partiture.
Il Preludio al Parsifal di Richard Wagner è apparsa in apertura alla seconda parte della serata, quasi a fare da spartiacque tra i due concerti di Liszt.
Certo, si è trattato soltanto del breve distillato di un’immensa opera esoterica, ma l’interpretazione ha saputo far emergere da questo intenso momento la magia onirica, ieratica e rivelatrice attraverso un flusso continuo di suoni che sembravano autogenerarsi a più riprese donando un effetto regale e luminoso in cui i silenzi sono risultati significativi tanto quanto la musica.
Giuseppe Albanese ha dato gran prova di sé nei due concerti per pianoforte e orchestra di Franz Liszt, non soltanto attraverso la splendida padronanza dell’elemento virtuosistico da cui ha fatto sorgere con naturalezza irrefrenabili moti perpetui. I tanti chiaroscuri presenti in particolare nel Secondo in la maggiore, l’attenzione per le infinite tonalità della tavolozza cromatica – etereo ponte con l’ascolto schumanniano – il pianissimo apparso all’improvviso in una sala ancora carica degli echi di un deciso assieme orchestrale, hanno dato la possibilità di cogliere in trasparenza immagini musicali appartenenti a un futuro già chiaro in Liszt.
Davvero incantevole è apparso il duetto tra il pianoforte e il violoncello – rasserenante e pacificatore di ogni tormento – premessa di ulteriori brevi momenti meditativi, dolcissimi e a tratti fiabeschi.
Il Primo Concerto in mi bemolle maggiore ha assegnato decisamente maggior spazio al pianoforte in un dialogo a più voci con i tanti solisti e con l’orchestra tutta in un avvicendarsi che ha permesso di cogliere innumerevoli punti di vista, materia ben padroneggiata da tutti.
Le atmosfere sognanti si sono vivacizzate giungendo a uno straordinario trillo che sembrava non finire mai.
A conclusione, il delicatissimo e struggente Notturno per mano sinistra di Aleksandr Nikolaevič Skrjabin.
Paola Pini