Al Teatro Sala Umberto di Roma. Fino al 27 ottobre 2019
Scifoni parrebbe una delle alternative romane alla Festa del Cinema. In effetti, resta in scena fino a domenica 27, in concomitanza con la serata di chiusura della kermesse capitolina. Sarà sold-out anche quest’anno, come nella passata stagione al Brancaccio e al Brancaccino? Solo Dio lo sa, potrebbero malignare i diversamente-catto. Soprattutto quelli che accompagnano a teatro i catto-schierati. E in sala ce ne sono molti.
L’autoironia aiuta a vivere. Scifoni lo sa e si lancia in un esperimento intelligente: prende un tema pop come il sesso e lo analizza con la lente di un cattolico contemporaneo, un laico ruspante, un uomo a cui piace il sesso – ce ne sono molti – e che lo pratica seguendo convintamente la Fede – e qui il numero di rappresentanti di genere dovrebbe diminuire. Nell’esperimento, Scifoni interagisce coi dubbiosi in sala, cercando di capire se c’è sesso senza amore, ma anche amore senza sesso, tanto “le abbiamo sperimentate tutte, per cui la castità è rimasto l’unico gioco erotico”. L’analisi di gruppo continua per un’ora abbondante, in cui i personaggi interpretati fanno ripensare al VI Comandamento (agnostici, atei, non-catto: tocca informarsi per tempo), alle catechesi di improbabili don Mauro, all’eterna lotta fra anima e corpo, alle illuminazioni che, come sempre, arrivano da personaggi di contorno (è il caso del colto Rashid, pizzaiolo musulmano modernista).
Scifoni affronta la difficile conciliazione di due pulsioni, quella verso l’alto, dell’amore che tende all’Infinito, e quella verso il basso, della carne che può scadere nella concupiscenza. Un’operazione complicata che negli anni Sessanta costrinse la Chiesa a prendere una posizione, pungolata malamente dal liberismo sessuale. Paolo VI nel 1968 partorì l’Humanae vitae, che scosse molte coscienze; “mia madre decise di avermi dopo aver letto quell’enciclica”, confessa l’autore e attore in sala.
Vincenzo Incenzo lo dirige in un flusso di coscienza vigoroso e fisico, puntellato con aneddoti personali, miniagiografie, incursioni di filosofi, scimmioni primitivi e cardinali futuribili. Spesso disturbato da una presenza conturbante (Anissa Bertacchini), che servirebbe a capire quanto il pubblico sia sex-addicted, Scifoni cerca di liberare dall’angoscia di una morale cattolica fraintesa. Il godimento non è, di per sé, fonte di peccato. L’attore si spoglia, quindi, di sovrastrutture tossiche, ma anche dei propri umanissimi abiti. Arriva seminudo a fine spettacolo, con l’ultimo quadro, tenero, a sposare la sua tesi: piacere e santità sono conciliabili, anzi, Dio li benedice.
Spettacolo non solo per cattolici, anche se vincitore del premio “I Teatri del Sacro” 2017.
Interessante e ardito, quasi una catarsi di gruppo.
Maria Vittoria Solomita