“MA L’AMERICA E’ LONTANA…” (da Anna e Marco)
“MILANO SGUARDO MALIGNO DI DIO / ZUCCHERO E CATRAME” (da Milano)
Non ho mai apprezzato molto la consuetudine – purtroppo particolarmente diffusa tra i cantanti e cantautori italiani – di intitolare i dischi utilizzando semplicemente nome e cognome dell’artista. Il titolo, come e più della copertina (anche se è noto, d’accordo, che “Non bisogna giudicare un libro dalla copertina…”), dovrebbe essere una sorta di biglietto da visita, una presentazione sintetica e mirata dell’essenza, dell’anima di un album; l’indicazione del punto preciso in cui batte il suo cuore. In alcuni casi, i musicisti operano una scelta “autoreferenziale” per esprimere il carattere strettamente autobiografico e personale dell’opera, un’opera in cui si mostrano “nudi” al proprio pubblico, quindi il centro tematico è la persona che sta dietro all’artista, spogliata di ogni sovrastruttura. Ma, più spesso, questo tipo di soluzione può essere invece sintomo di svogliatezza e sottovalutazione dell’importanza del titolo nell’economia dell’album, oppure, più semplicemente, dell’incapacità di trovarne uno che riassuma ed esprima efficacemente la natura del disco.
Quale che sia stata la ragione che ha portato Lucio Dalla a pubblicare il suo ottavo disco di studio rinunciando a dargli un titolo, direi che in questo caso si possa tranquillamente chiudere un occhio, visto che stiamo parlando di Lucio Dalla, cioè del suo capolavoro assoluto, vera e propria pietra miliare della musica leggera italiana. Uscito esattamente quarant’anni fa (1979), l’album costituisce l’opera più significativa e importante del grande cantautore e musicista bolognese. Un vero miracolo di ispirazione poetica e musicale, punto d’equilibrio perfetto tra canzone d’autore e pop. Nove pezzi indimenticabili, per quaranta minuti (circa) altrettanto indimenticabili: l’apice, mai più raggiunto, di una carriera lunga e fortunata che, tra alti e bassi, ha mantenuto Dalla sulla cresta dell’onda per almeno tre decenni. E dire che, oltre al titolo essenziale, anche la veste grafica di Lucio Dalla è minimale e dimessa (una semplice foto di Lucio in copertina), e non lascia immaginare i tesori che racchiude: mai apparenza fu più ingannevole!
Per Lucio Dalla il 1979 è l’anno della svolta, anzi, di più: è il suo anno d’oro. Chiusa la collaborazione con l’autore Roberto Roversi (dalla quale era scaturita una memorabile trilogia di album, tra i quali spicca senz’altro Automobili), Dalla aveva già debuttato come cantautore due anni prima con l’ottimo Com’è profondo il mare (1977), dal quale si poteva forse già intuire che il percorso di maturazione dell’artista fosse prossimo al compimento, e quindi che l’arrivo di un capolavoro fosse nell’aria. E così poi è stato. Ma, non contento di aver pubblicato il suo disco migliore, in quello stesso 1979 il Nostro si toglie pure la soddisfazione di riempire gli stadi d’Italia grazie al trionfale tour live di Banana Republic in coppia con Francesco De Gregori, progetto nato dalla quasi casuale collaborazione per il singolo Ma come fanno i marinai.
Dopo il botto dell’anno magico, l’artista prova a ripetersi nel 1980 con Dalla (ancora un disco senza titolo, dove addirittura si sottrae ulteriormente, lasciando il solo cognome), l’album di Futura e Balla balla ballerino, ma il risultato non è all’altezza del predecessore (non era facile…). Il disco alterna momenti di grande ispirazione (oltre ai due brani già citati aggiungo almeno Meri Luis) a passaggi più macchinosi, e in generale risulta meno spontaneo e immediato di Lucio Dalla. Poi, gli anni Ottanta, caratterizzati da lavori di buon livello come 1983 e Bugie: il pubblico apprezza ancora, la critica un po’ meno. Il grande successo tornerà all’improvviso con Caruso…
Per celebrare il quarantesimo anniversario di Lucio Dalla, l’album è stato ripubblicato pochi giorni fa (il 25 ottobre) in edizione deluxe rimasterizzata e con tre brani inediti.
Francesco Vignaroli