Dal 18 al 21 dicembre 2019 alla Triennale Milano Teatro
Ljubov’ Andreevna Ranevskaja “Oh, infanzia mia, purezza mia! In questa stanza io dormivo, da qui guardavo il giardino, la felicità si svegliava con me ogni mattina e il giardino era tale quale adesso, nulla è cambiato. (Ride di gioia).Tutto, tutto bianco! Oh, giardino mio! Dopo lo scuro, piovoso autunno e il freddo inverno, tu sei di nuovo giovane, colmo di felicità, gli angeli del cielo non ti hanno abbandonato… Se potessi togliermi dal petto e dalle spalle queste pietre pesanti, se potessi dimenticare il mio passato!”
Cosa c’è in questo giardino dei ciliegi che da quando è stato messo in scena per la prima volta il 17 gennaio 1904 al Teatro d’Arte di Mosca da Kontantin Stanislavskij e Vladimir Ivanovič Nemirovič-Dančenko, e dove Ljuba era interpretata dalla moglie di Čechov, Olga Knipper. ci attrae tanto, come spettatori, lettori, artisti?
Ecco la semplice risposta: c’è la vita, con tutta la sua caducità, precarietà, ricordi, nostalgie, fallimenti, successi, un po’ tragedia, un po’ commedia, un po’ farsa.
E la regia di Alessandro Serra, fedele al testo di Čechov, è tutto questo ma visto come un teatro delle ombre dove la realtà si amplifica fino a fare paura o si rimpicciolisce come se i personaggi si muovessero nella casa delle bambole. Come a ricordarci che la vita è un’illusione, la Māyā dei Veda. Serra sceglie di virare il suo spettacolo come fosse un film muto, dove i neri e i seppia si stagliano sulla scarna scenografia in cui decine di sedie, che rappresentano i mobili che verranno venduti, o mandati al macero con la casa stessa, si ammassano, si allontanano, girano, si elevano. E i personaggi celebrano, vestiti di nero, come in un funerale farsesco, il loro funerale, la fine di un’epoca, l’inizio di un’altra, la morte dell’aristocrazia, la nascita di una nuova classe sociale, la borghesia che si sta arricchendo con la compravendita dei terreni dei decadenti e decaduti signori. Ma i nuovi ricchi possono contare sul denaro non sulla cultura, l’eleganza, lo stile, tutte cose che non si comprano, magari si scopiazzano, si masticano, si rivoluzionano, si criticano. Ma in un mondo che cambia, dove i giardini di ciliegi vengono abbattuti per fare spazio alle case, al mattone, diremmo, per ospitare villeggianti e altri affamati non del bello ma del pratico, del solido, Ljubov’ Andreevna Ranevskaja, la proprietaria del giardino dei ciliegi, rappresenta l’inconsapevolezza, il sogno, il desiderio di rimanere legata ai ricordi, evitando ulteriori sofferenze, chiudendo gli occhi sulla realtà, continuando a vivere nel passato “La mia cara, splendida stanza dei bambini… Io dormivo qui, quand’ero piccola… (Piange).Anche adesso è come se fossi piccola…” “Tagliare il giardino dei ciliegi? Mio caro, scusate, ma voi non capite proprio niente. Se in tutto il governatorato c’è qualcosa di degno d’interesse, di addirittura eccezionale, questo è proprio il nostro giardino dei ciliegi.”
E Ermolaj Lopachin, il mercante, le risponde così:
“Di eccezionale nel vostro giardino c’è solo il fatto che è molto grande. Le ciliege maturano una volta ogni due anni, e anche allora non si sa che farsene perché nessuno le compra più.” e una volta comprato il giardino:
“Il giardino dei ciliegi adesso è mio! Mio! (Ridacchia).Dio mio, signore, il giardino dei ciliegi è mio! Ditemi che sono ubriaco, che ho perso la ragione, che mi sono immaginato tutto… (Pesta i piedi).Non ridete di me! Ah,se mio padre e mio nonno potessero venir fuori dalle loro tombe e vedere tutto quel che è successo, che il loro Ermolaj,quello che picchiavano, l’ignorante Ermolaj che d’inverno andava in giro a piedi nudi, se vedessero che quello stesso Ermolaj ha comprato la proprietà più bella che esiste al mondo. Io ho comprato la proprietà in cui mio nonno e mio
padre erano schiavi…”
Ma chi ha ragione? Anton Pavlovič Čechov sembra preferire il mondo legato alla natura, alle stanze dei bambini, a quando non si pensava che saremmo cresciuti, un giorno, e gli alberi sarebbero stati abbattuti, in nome del progresso e della libertà. Sembra preferirlo perché la Ljubov’ Andreevna Ranevskaja è il personaggio centrale, quello che sentiamo più vicino, più grande, che più rappresenta la vasta gamma dei sentimenti umani, che ha sofferto la perdita di un figlio e quel giardino glielo ricorda continuamente, per questo non vuole staccarsene. L’interpretazione pur buona della Sperlì nel ruolo di Ljuba, ruolo così importante, così cechoviano, non arriva a toccare tutte le corde che ci saremmo aspettati, lasciando al suo personaggio qualche incompiutezza recitativa, ci è mancato il suo sentire davvero il giardino dei ciliegi, ci è mancata quella leggerezza di bambina, quel suo vivere nel mondo dell’infanzia che per esempio aveva la Cortese.
Tutti gli altri personaggi rappresentano anch’essi l’Umanità, c’è l’intellettuale, la giovane donna innamorata, il contabile, la governante ma nessuno è legato al giardino dei ciliegi come la Ranevskaja.
E quando tutti se ne vanno, dopo la vendita del giardino, rimane, come un ultimo patetico baluardo il vecchio e malato maggiordomo, che rappresenta la fedeltà a un mondo che gli ha dato da vivere e lui nulla ha preteso in più.
Molto nero in questa messa in scena, Strehler optò per l’opposto, solo bianco ed écru, i colori del giardino, il rosso delle ciliegie non appaiono mai, nemmeno i giochi nella stanza dei bambini, è vuota, triste, tutto è avvolto nelle ombre, è una tragicommedia cui assistiamo, un valzer degli addii…
Si sente un suono lontano, come se venisse dal cielo, il suono di una corda di violino che si spezza, un suono triste, morente. Cade il silenzio, si ode soltanto, in lontananza, la scure che si abbatte sugli alberi.
Daria D.
di: Anton Čechov / regia: Alessandro Serra / con: Arianna Aloi, Andrea Bartolomeo, Leonardo Capuano, Marta Cortellazzo Wiel, Massimiliano Donato, Chiara Michelini, Felice Montervino, Fabio Monti, Massimiliano Poli, Valentina Sperlì, Bruno Stori, Petra Valentini / drammaturgia, scene, luci, costumi: Alessandro Serra / consulenza linguistica: Valeria Bonazza, Donata Feroldi / realizzazione scene: Laboratorio Scenotecnico Pesaro / direzione tecnica, tecnico della scena: Giuliana Rienzi / tecnico della luce: Stefano Bardelli / tecnico del suono: Giorgia Mascia / collaborazione ai costumi: Bàste / attrezzista: Serena Trevisi Marceddu / organizzazione, distribuzione: Danilo Soddu / produzione: Sardegna Teatro, Accademia Perduta Romagna Teatri, Teatro Stabile del Veneto, TPE – Teatro Piemonte Europa, Printemps des Comediéns / coproduzione: Compagnia Teatropersona, Triennale Milano Teatro