Il meno italiano degli artisti italiani è uno dei principali artisti del primo novecento italiano e in ogni caso credo che innanzitutto ti venga in mente la sua Grecia, e la sconfinata solitudine di una grandezza che oggi puoi solo immaginare, sognare, raccontare, dipingere, descrivere e scrivere – è surreale, ma suona proprio come un monitor.
Una prima conseguenza è che la rarefazione delle atmosfere delle sue tele è lo sfondo immobile di pianeti sconosciuti, rubati al cielo della memoria, di una memoria triste solitaria e infantile.
La pittura di de Chirico è statica, palesemente antimodernista; raggiunge alla rovescia un razionalismo geometrico perverso, affatto vuoto e silenzioso, fatto di umani impersonali, spersonalizzati, disumani e disumanizzati; le tele sono dei flashes congelati per la cronaca, dei fermo immagine, still images consegnate on the rocks per sempre ai nostri occhi; e ti vien quasi da dire aristotelica nella completa assenza di dinamica moderna, nel suo essere essenzialista, paradossalmente spartano e ostinatamente controcorrente: immobile nell’età dell’automazione, vuota e solitaria alla nascita della cultura e dei raduni di massa; e la pittura di de Chirico è di fatto un vuoto d’aria spinto nel quale precipita l’umanità lasciandosi dietro il regno degli automata.
De Chirico alla fine dipinge piazze archeologiche in cui la modernità sua contemporanea è solo una reliquia desolata: sullo sfondo c’è tutta l’archeologia greca antica, ci sono le sue memorie, il suo passato, e un presente già morto in partenza, vuoto, in un boato di colore che già ti porta oltre, oltre la fisica, dentro la natura delle cose da miliardi di anni sempre uguale a se stessa, sempre immobile nell’essenza del suo movimento eterno.
Oltre la natura e la fisica c’è solo l’equilibro perfetto, e anche l’uomo diventa una stella fissa in assenza di movimento, un punto di riferimento per sè solo; oltre la natura la vita è solo un ricordo, un’immagine in background, la vita è già storia, la storia è solo un ricordo, e non ti rimane altro che il colore per raccontarlo, quel colore che con forza ti porta oltre il confine dell’orizzonte dello sguardo, sull’arcobaleno alla fine del sogno, si, somewhere over the rainbow, verso la desolata e pachidermica finzione delle attrazioni da window shopping.
Si legga:
https://brewminate.com/the-lady-vanishes-a-spooky-show-window-in-chicago-1900/
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