“Karma Hostel” e lo Stato Interiore di Francesco De Luca

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Poeta e scrittore romano, occhi verdi, mancino. Nel corso dei suoi quarantun anni studia la comunicazione, ama l’Asia, impara il cinese, fonda l’Associazione Sviluppo Italia Cina, lavora come interprete e traduttore per l’Ufficio Immigrazione, per il Dipartimento del Turismo e per lo Studio Legale Italia Cina. Pubblica la silloge “Anomalie” (Terre Sommerse, 2016), il romanzo “Karma Hostel” (Il Foglio Letterario, 2019), partecipa al Roman Poetry Festival (Ponte Sisto, 2019) e traduce la raccolta di poesie “Hai Zi Un uomo felice” (Del Vecchio Editore, 2019).

In un momento in cui di Cina se ne parla in tutte le salse ma dei cinesi poco e niente, incontriamo Francesco De Luca alla scoperta di Karma Hostel e di una Cina underground e ribelle. Karma Hostel è la storia autobiografica, scritta in maniera semplice, senza filtri, di un ragazzo italiano che, deluso dal proprio Paese, emigra in Cina, a Houhai. In questo paesino di pescatori cantonesi sull’isola tropicale di Hainan, lontano dalle dinamiche della grande città, sogna di più, respira la magia della “beat revolution asiatica” e apre un ostello per surfisti. Inizia così un’avventura, un flusso di coscienza che si flette sulle onde del Sud, attraversa le montagne del Sichuan, fino alla poetica decadenza di Pechino e Chongqing. Un romanzo che si fa lente sulla nostra società, la cui denuncia ecologica, antropologica e sociale risponde al valore e al senso dell’arte.

L’idea di scrivere Karma Hostel è nata mentre vivevi in Asia oppure successivamente il tuo viaggio è diventato bagaglio del tuo romanzo?

Quando sono tornato a Roma lavoravo come interprete per i cinesi all’Ufficio Immigrazione del Ministero dell’Interno, dove venivano i richiedenti asilo politico e protezione internazionale. Sentivo storie incredibili di torture, uccisioni, fughe di immigrati clandestini che erano venuti in Italia per motivi principalmente politici e religiosi. Sono molto empatico e tutto questo non è stato semplice per me. Quante vite di stranieri ci passano accanto di cui non sappiamo nulla e di cui conosciamo solo la cultura filtrata dai media. In quel periodo sentivo che dovevo rimanere a casa a scrivere un libro. Ero molto attivo su Facebook, i social mi piacciono. Ci scrivevo talmente tante idee che diversi scrittori mi consigliavano di farne un libro, primo tra questi Renzo Paris. Dunque mi sono licenziato e ho cominciato a dedicarmi al libro, dalle otto e mezza della mattina fino a sera. È difficile trovare le energie giuste per scrivere se fai anche un altro lavoro.

Come sei arrivato all’editore?

Man mano che scrivevo i capitoli li pubblicavo su karmahostel.it dove si potevano leggere gratuitamente e li mandavo a persone che stanno nell’ambiente editoriale da molti anni, le quali mi ripetevano che quella roba meritava di essere pubblicata. Tra questi lo scrittore Gianfranco Franchi e l’editore di “Stampa Alternativa” Marcello Baraghini che mi propose di rimetterci mano ma io volevo pubblicare un libro che fosse fedele alla prima stesura, con tutti i suoi errori, anche per protesta alla scrittura costruita a multiple mani. Alla fine, per caso, sono arrivato alla casa editrice “Il Foglio” che mi ha pubblicato.

È difficile trovare nel panorama letterario italiano odierno qualcosa sulla Cina underground…

Si infatti questo libro si deve all’esperienza diretta che ho vissuto e all’amore che ho per la cultura cinese, quella più popolare e meno conosciuta. Di letteratura sulla Cina underground non c’è quasi nulla tantomeno scritta da sinologi. Alcune sfumature, alcune dinamiche psicologiche, comportamentali, culturali, forse le coglie solo chi ha vissuto per anni in Cina parlando la lingua del posto. Il cinese è una delle lingue più difficili del mondo da imparare e io ho provato che cosa significa vivere da solo in un posto così diverso e lontano dall’Italia, in mezzo ad un continuo rumore di sottofondo senza riuscire ad intendere niente di quello che senti e che leggi.

I turisti cinesi al mare li si vede spesso vestiti senza mai nuotare. Come è stato alimentare la cultura del surf sull’isola di Hainan?

Folle. Siamo riusciti a coinvolgere pochissime persone. Come potevamo convincere a fare surf una popolazione che non solo non fa il bagno ma non vive neanche la spiaggia? È stata comunque una bellissima esperienza. In quel periodo scrivevo anche per China Surf Report e mi ricordo di un ragazzo che prese un aereo dal centro della Cina per venire ad Hainan a conoscermi e ringraziarmi per quello che stavo facendo.

Come sono i giovani cinesi?

Interagendo con la pagina social del giornale cinese e leggendo i commenti mi si è rivelato quanto a livello macroscopico siano devastati culturalmente. La rivoluzione culturale li ha distrutti portandoli da un estremo a un altro, ciò nonostante è un Paese che oggi dal punto di vista culturale offre ancora molto. Giorni fa ho letto “La Cina in dieci parole” di Yu Hua in cui viene descritto questo passaggio da un estremo all’altro attraverso l’immagine dell’altalena. Il partito ha spinto il popolo sull’altalena in una direzione così in alto che necessariamente poi è passata dall’altra parte alla stessa altezza.

La globalizzazione in Asia così come in Europa sta cancellando l’identità e le varie realtà particolari, tanto che nel tuo romanzo occidente e oriente si specchiano l’un l’altro. Dal punto di vista spirituale ha ancora senso distinguerli?

Assolutamente no. Un tempo per fare un viaggio spirituale i tedeschi venivano in Italia e gli italiani andavano in Oriente. Molte persone, soprattutto gli artisti avevano una forte tensione verso la conoscenza e per questo scoprivano tante cose. Oggi la curiosità c’è sempre ma poi in questo tipo di viaggi si perde. Probabilmente è una conseguenza psicologica della modernità. Già nei primi del ‘900 il filosofo tedesco Georg Simmel parlava dell’iper stimolazione cerebrale provocata dal numero sempre maggiore di input, di informazioni, che le persone nella vita quotidiana ricevono, ed è quello che accade oggi all’ennesima potenza con i cellulari, i palmari, siamo continuamente stimolati, continuamente in tilt. La verità è che se conosci almeno un pò i cinesi o l’Oriente più in generale, ti rendi conto che sono uguali a noi ma hanno una cultura talmente lontana dalla nostra capacità di comprensione da diventare qualcosa di alieno, qualcosa di straniero che non capisci, e di solito quando non si capisce qualcosa o si ha paura o si diventa razzisti.

Karma Hostel e la tua poesia “1979” sono positivi al virus della realtà. Parli apertamente di corruzione, di inganno politico, di degrado, di un certo tipo di educazione e del mondo che quella educazione ha prodotto. È così che smascheri Roma e lo fai in nome di un futuro più umano. Qual è l’aspetto rischioso dell’essere così critico rispetto al sistema?

Sicuramente il mio modo di essere diverso influenza molto i rapporti che ho con le persone dell’ambiente. Spesso ci dimentichiamo di quanto sia fondamentale il concetto di intento. L’intento traina la profondità e l’energia delle cose. La nostra generazione in tutti i settori del lavoro è come se fosse stata colpita ripetutamente e indiscriminatamente, in maniera cieca, da tutti i dinosauri della società italiana, da tutti quelli che non vanno in pensione e si vogliono tenere tutto stretto. Ecco il vedere le cose in questo modo mi porta ad essere incompreso e isolato.

Che capacità hanno le persone di distinguere la qualità?

Negli ultimi quarant’anni c’è stato un decadimento del livello medio della cultura italiana. Oggi anche i bravi scrittori o filosofi sono più costretti, schiacciati da un fenomeno iniziato con la televisione di massa fino agli anni duemila in cui sono arrivati gli smartphone. La comprensione di alcune dinamiche è diminuita, non c’è molta critica, non si fa più autocritica. Siamo diventati molto egoisti e narcisisti perché della televisione abbiamo assorbito la cultura trash. Questo lo diceva già Pasolini negli anni ‘60 e non lo sopportava più nessuno perché scriveva sulla prima pagina del Corriere della Sera e quindi aveva una certa influenza. È difficile capire cosa è qualità oggi, perché molti giovani che si sono formati in quel panorama negli anni ‘90 adesso lavorano, magari sono direttori editoriali e probabilmente non sono in grado.

Quanto è riconosciuta la professione del poeta e dello scrittore?

Siamo tutti scrittori, siamo tutti poeti, siamo tutti opinionisti, siamo tutti politici, siamo tutti medici, siamo tutti esperti di virus, siamo tutti esperti di social media, siamo tutti editori, siamo tutti direttori editoriali, siamo tutti musicisti, siamo tutti ballerini, siamo tutti attori, siamo tutti influencer, siamo tutti amanti dei cani, andiamo tutti a correre, amiamo tutti i tramonti con il bicchiere di Spritz in mano. Siamo tutti tutto ma nessuno sa veramente. Men che meno gli scrittori che per la maggior parte sono degli scompensati, persone che magari hanno fallito nel lavoro che volevano fare, persone che si sono messe a scrivere perché hanno una laurea e quindi sanno scrivere in italiano ma questo non è essere scrittore. È un problema grave perché i poeti e gli scrittori dovrebbero essere parte della ricchezza di una società. Spesso mi rivedo su Youtube gli interventi degli intellettuali italiani di un tempo, erano tanti in tutti i settori. Gli artisti oggi si seguono sui Social ma poi dal punto di vista sociale non accade alcun fermento reale.

Hai lasciato un Paese rimasto vecchio per un Paese in divenire, in cui hai vissuto una serie di cose fondamentali che ti hanno riavvicinato all’essenzialità della vita. Perché sei tornato a vivere a Roma?

La prima ragione è misteriosa. Da quando me ne sono andato di casa a venticinque anni, ho sempre vissuto seguendo la strada che mi si presentava davanti, senza paura. Se non cedi alla paura ti allontani. Dopo nove anni che vivevo in Cina mi sono trovato a tornare con una valigia vuota, con dentro soltanto una fiaschetta di Whisky e la Bibbia che mi portavo sempre dietro. Una volta tornato a Roma ci sono rimasto perché ho cominciato a scrivere. La seconda ragione è stata la mia famiglia, non è facile stare lontano diecimila chilometri in un posto completamente diverso, senza famiglia né amici… e poi l’Italia è così bella!

Parliamo dell’aspetto psichedelico di Karma Hostel. Che tipo di connessione c’è tra viaggio esteriore e viaggio interiore in Asia?

Sono due facce della stessa medaglia. Si tratta di un confine tra realtà e follia in cui la connessione è totale perché il viaggio reale e il viaggio psichedelico sono lo stesso viaggio e le cose che vedi sono psichedeliche per alcuni e reali per altri. Io credo alla concentrazione di energie nei posti, è un qualcosa che se si è attenti si percepisce, soprattutto se ti capita di vivere dei periodi da una parte e dall’altra del mondo. Quando torni dalla Cina in Italia si percepisce uno stato di morte apparente, un ristagno energetico che si tramuta nel ristagno politico, economico, di sviluppo perché ci siamo incancreniti per tante ragioni storiche e perché abbiamo una cultura vecchia che ha raggiunto l’apice della sua evoluzione e ora sta scendendo. In Cina c’è la situazione opposta, si sente un fermento energetico fortissimo che però è all’estremo e quindi tende all’entropia. Assorbendo e studiando la cultura cinese mi sono reso conto che in Occidente si guarda la realtà in maniera dualistica, mentre l’Oriente che tende al taoismo, ha un modo più fluido di vedere le cose.

Una pagina intera spiega che la Marijuana non è come i nostri governi vogliono farci credere…

Oggi sia in Italia che nel mondo c’è una battaglia viva sul fronte legalizzazione. La canapa è stata demonizzata per interessi economici negli anni ‘30 in America. È stata bandita per motivi politici, perché era uno dei più pericolosi nemici economici nei confronti della nascente industria petrolchimica poiché dalla canapa si ricavava tutto ma nessuno poteva avere il brevetto di una pianta naturale e gli industriali americani che cercavano la fortuna nell’industria petrolchimica l’hanno resa illegale. Il governo italiano ha assorbito le direttive europee che a loro volta hanno subìto la pressione degli Stati Uniti d’America. Ora ci troviamo in una situazione culturale proibizionista e accettiamo che la canapa sia illegale. Per me dovrebbe essere assolutamente legale non solo perché non è vero che fa male ma perché l’esperienza degli Stati che l’hanno legalizzata smentisce il fatto che legalizzando aumenta il consumo bensì questo diminuisce insieme alla microcriminalità. Io ho un cugino che è morto di cancro durante il lockdown a Padova, era malato terminale quindi non poteva uscire per andarla a comprare ma l’avrebbe aiutato a vivere meglio le ultime settimane di vita, si tratta di libera scelta e non dovrebbe succedere questo in un paese democratico.

La scrittura è imprescindibile dalla lettura e infatti sui tuoi profili social ci sono citazioni e copertine di libri ricercati. Quali sono quelli che contano per te?

Sono cresciuto con i libri di poesie di Keats, Shelley, Rimbaud, Baudelaire, Campana, Bukowski, Ferlinghetti, Kerouac, Corso. Mi piace molto la letteratura inglese, americana e angloamericana. L’Italia per quanto splendente è un paese piccolo, in cui la cultura è talmente forte da essere il nostro punto di forza e di debolezza. Siamo molto superbi e rigidi per questo ho preferito testi più liberi. L’ultimo mio lavoro è stato tradurre dal cinese Hai Zi Un uomo felice, un grandissimo poeta, e ancora mi chiedo come sia possibile che con tutti gli scrittori che ci sono in Italia, nessuno dal 1989 abbia mai fatto un’antologia su di lui.

I libri hanno bisogno di tempo per arrivare alle persone o forse è il contrario, fatto sta che Karma Hostel è un invito ad aprirsi a nuovi orizzonti sia geografici che mentali e quando lo si chiude per scendere dalla metro o per spegnere la bajour, lui continua a lavorare dentro. Quanto sei consapevole di quello che sei e di quello che hai scritto?

La consapevolezza del sé è l’obiettivo della vita perché se non si è consapevoli di chi si è non si può essere neanche nel posto giusto, nel giusto flusso di vita. La consapevolezza è una strada infinita e io credo che debba ancora raggiungerla.

Livia Filippi

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