Teatro Alta Luce di Milano, 3 ottobre 2020
Ha scelto nel 2012 una location decentrata, fuori dalle aree tradizionali, il teatro Alta Luce. Nella zona più periferica del Naviglio Grande di Milano, poco oltre la storica chiesa di San Cristoforo, propone corsi di teatro, produce spettacoli propri e ospita artisti. Analogamente inusuale è stata la pièce teatrale ospitata il 3 ottobre, contro corrente rispetto agli schemi e agli autori abitualmente frequentati.
La compagnia femminile Afa (dai nomi di battesimo delle tre fondatrici trentenni: Agnese Zappini, Francesca Prandelli e Antonella De Iorio, rispettivamente scenografa, regista e costumista) nata a Milano nel 2016, ha portato in scena I dialoghi delle cortigiane. Sono quindici brevissimi racconti, secondo i testi originali di Luciano di Samosata, autore del secondo secolo dopo Cristo.
La attualità di un testo di quasi duemila anni fa è colta, oltre che nella fruibilità (molto moderna!) del formato di situazioni in rapidi quadretti, nelle eterne dinamiche dei rapporti che ruotano intorno al sesso, all’amore, alle dinamiche tra uomini e donne e tra le donne, visti attraverso la prospettiva delle cortigiane, dei loro clienti, delle loro famiglie, dei loro amori.
Assistiamo quindi a sapide descrizioni di schermaglie amorose, ripicche, gelosie, inganni, equivoci.
Trattandosi di cortigiane, particolare importanza rivestono ovviamente le valutazioni di come meglio sfruttare economicamente il desiderio maschile. La propria avvenenza è quindi sapientemente venduta al miglior cliente, anche a scapito di altre donne, in una competizione senza esclusione di colpi, che trova purtroppo echi nei secoli. Non mancano dunque le madri che senza scrupoli incitano le proprie figlie a mettere a profitto la propria giovinezza e bellezza. I bilanci familiari incombono e, davvero, pecunia non olet. Oggi diremmo: c’è la rata del mutuo da pagare.
I dialoghi a due, e a volte con quattro persone (alle due protagoniste Gea Rambelli ed Emanuela Volpe si affiancano le figure maschili di James Foschi e Giuseppe Masserelli), in un contesto scenografico estremamente semplice, sono animati con soluzioni gestuali che arricchiscono e vivacizzano il racconto dagli attori, che assumono più ruoli, in un continuo caleidoscopio di situazioni.
A ulteriore conferma della immortalità delle situazioni, compare addirittura un personaggio che è donna, ma non “tradizionale”. Desidera infatti altre donne e con particolare ingegnoso impegno, visto che le soddisfa con soluzioni “migliori di quelle maschili”.
Del resto, dopo il disgustato ascolto femminile delle vanagloriose sbruffonerie guerresche maschili, la chiusura dello spettacolo è impietosa nei confronti dell’ex sesso forte: tra loro le donne si confidano complici, infatti, che “gli uomini fanno solamente rumore”.
Guido Buttarelli