Al Teatro Franco Parenti di Milano, dal 14 al 29 ottobre 2020
Un’ora e mezza con il fiato sospeso. Tanto dura, in tempo reale, lo spettacolo e il viaggio serale in auto di Ivan Locke. E’ “il più bravo capocantiere d’Inghilterra”, alla vigilia della “più grande colata di calcestruzzo dell’edilizia urbana londinese” (evidentemente senza esitazioni ecologiste), che nella mattinata seguente darà il via alla costruzione di un edificio di grande prestigio e di dimensioni imponenti.
Il viaggio è letteralmente tempestato da mille telefonate al cellulare, lanciate e ricevute, che si accavallano in una successione incalzante e ansiogena. Parla concitatamente con tutto il suo mondo, Locke. Con moglie e figli, con un’altra donna, con il padre, con burocrati e superiori, ma, soprattutto con la persona che lo sostituirà in cantiere nel cruciale giorno seguente.
Perché lui ha scelto: non ci sarà.
Né ora tornerà a casa, dove lo aspettano i due figli, la moglie, la imperdibile attesa partita di calcio alla tv, le birre, il barbecue.
Eppure Locke è un uomo rispettato, con un lavoro importante e una bella famiglia.
Locke ha preso una decisione drastica e radicale, una svolta, dalle molte ragioni, tutte profondamente esistenziali. Tutte legate all’unico e fondamentale principio (sacro!) della assunzione di responsabilità. Un imperativo categorico di integrità morale, non imposta, non conformista, per nulla comoda (gli costerà la perdita di lavoro e famiglia).
Una scelta in cui riconosce e pone tutto il suo valore di Uomo.
In passato ha commesso un errore, una leggerezza momentanea, che tuttavia ha prodotto gravi conseguenze. Locke sceglie con lucida consapevolezza di assumersene integralmente la responsabilità. E, nel contempo, con continue telefonate spasmodiche cerca di onorare gli altri impegni fondanti della sua vita: la buona riuscita della Colata di Cemento, perché l’edificio in costruzione è il Suo edificio, il mantenimento del rapporto con la moglie, che ama profondamente.
Scegliendo tuttavia (altra assunzione di responsabilità dagli esiti sofferti e drammatici), di non nascondersi, di rivelare con dolorosa sincerità la ragione profonda e reale della sua scelta, correndo il rischio di perdere tutto.
La scelta di responsabilità rispetto al suo “errore”, la dirittura morale, l’integrità, nascono anche dalla necessità interiore di “ripulire” il nome di famiglia disonorato dal padre, di cui Ivan contraddice e corregge con le sue azioni i comportamenti irresponsabili che tanto profondamente l’hanno ferito e segnato.
Solo grazie ad un impegnativo lavoro di regia è possibile mantenere per così lungo tempo un ritmo di grande tensione, scandito da una serie interminabile di conversazioni telefoniche, con l’assillo nevrotico del messaggio “è in arrivo una nuova chiamata”.
Non esistono infatti altri personaggi in scena, oltre a Locke: questo spettacolo è l’essenza del teatro. L’attore in scena (Filippo Dini, che ha diretto, tradotto e adattato la sceneggiatura di Steven Knight) è perennemente seduto, privato dunque di gran parte della mimica e della espressività del corpo. Gli altri personaggi sono “solo” voci al telefono. Eppure tutti, ovviamente in particolare il bravissimo Dini, comunicano efficacemente stati d’animo, pensieri, tensioni, conflitti, paure.
Alla fine, in tanta tensione, l’affacciarsi di una nuova vita getta una luce di speranza.
Guido Buttarelli