Marco Brini è un match analyst che lavora nel mondo del calcio oramai da diversi anni, con esperienze importanti nella Serie B. E’ interessante ascoltare Marco su questo argomento, il quale ci parla sia del mestiere sia di alcuni frangenti della sua carriera.
Ciao Marco, prima di tutto. Come viene analizzato l’avversario? Quali input dai al mister e alla squadra?
Ci sono 2 step. Il primo: la raccolta di informazioni, il sapere. Guardo, studio, prendo appunti. Mi costruisco un piano A, poi sviscero i possibili piani B. Dapprima do soggettività alla videoanalisi, poi cerco oggettività nei numeri. In un secondo momento, per non farmi condizionare. Sono pienamente soddisfatto quando vedo occhio e dato combaciare.
Il secondo: la comunicazione, il saper trasmettere le informazioni carpite. Ho cercato di adattare e adottare un linguaggio, sia in video editing che nella visualization dei Big Data, che sia semplice ma efficace. Il mister vuole sempre chiarezza, il calciatore generalmente ha poca ‘autonomia’ di apprendimento (ride, ndr): se costruisco un qualcosa di troppo elaborato non ho presa, devo concentrare in layout brevi ma intensi che lascino il segno. Ognuno deve sapere chi, come, cosa ha difronte. Poi, chiaramente, c’è tutto il lavoro del mister. Io sono uno strumento e questo è solo parte del lavoro di un match analyst.
Migliore e peggior gara preparata. Così, su due piedi.
Migliori, due, non so fare gerarchia. A Ferrara, primo anno di Perugia, paradossalmente nell’unica delle due sconfitte del girone di ritorno. Perdemmo 2-0 ma uscimmo tra gli applausi. Sviluppammo benissimo, quanto studiato, il calcio poi non è scienza esatta. E forse, mi lasci dire, è bello anche per questo.
L’altra a Parma, secondo anno, in piena emergenza strappammo un 1 a 1 con tanti rimpianti per il rigore subito al 90° dopo una gara tatticamente perfetta.
Peggiore Bari, trasferta secondo anno, con mister Breda: in settimana non ero contento di come ero riuscito ad inquadrare l’avversario, ce l’avevo in testa ma l’elaborato non mi dava soddisfazione. Perdemmo 3 a 1.
Sempre a completa disposizione. C’è chi è più attento a certe dinamiche ed argomenti e cerca supplementi d’informazione e chi devi imboccare, magari a più riprese, anche pochi attimi prima del calcio d’inizio.
Le dinamiche interpersonali che si creano poi all’interno di uno spogliatoio professionistico sono le stesse del calcio dilettantistico.
Nel tempo con molti ho costruito veri rapporti di amicizia che esulano dalla professione.
Quel calciatore che ti ha impressionato
Tonali, esordì contro di noi a 17 anni. Nel relazionarlo sottolineai più volte le qualità del ragazzo. Con un esordiente, solitamente, “perdi” invece poco tempo.
E poi Mancini, che oggi giganteggia alla Roma. Era un ragazzino e già guidava la nostra difesa, dettava tempi, guidava la linea. Era destinato ad una grande carriera.
3 semifinali playoff in 3 anni. Dove hai lasciato più rimpianti?
In quello di Perugia-Benevento, con Bucchi. All’andata al Vigorito perdemmo 1 a 0, al ritorno c’erano 20.000 persone pronte a spingerci. Giocammo contratti, poi andammo sotto e li raggiungemmo nel finale. L’ultimo pallone, al 95° di Del Prete, a portiere battuto, ancora me lo sogno di notte. In finale avremmo incontrato il Carpi, decimato e stremato. Non ci sarà mai la riprova ma la A era veramente lì, ad un passo.
Magari, in un futuro prossimo… te lo auguriamo…
Contatti?
Abboccamenti. Ho imparato che nel calcio è tutto veramente volatile, ciò che è vero oggi, è totalmente falso domani. Finché non firmi non hai certezza alcuna. Ma aspettiamo fiduciosi.