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Gianna Coletti per “Artisti ai tempi della pandemia si raccontano”, a cura di Daria D.

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Zona rossa, Covid, Pandemia… quali sono le tue reazioni immediate quando senti o leggi queste parole?

Penso ai morti. Morti a centinaia, a migliaia. Morti soli, terribilmente soli.

Come hai vissuto e come stai vivendo questo periodo di pandemia, di lockdown?

Riuscendo a pagare le bollette non mi posso lamentare. Quando non sei alla canna del gas il lockdown non è poi così terribile. Mi amareggia solo vedere tanta sofferenza.

Come artista ti sei sentito abbandonato, emarginato, dimenticato? Oppure è la condizione normale degli artisti e quindi…

Gli artisti si sentono abbandonati, emarginati, dimenticati quando non lavorano. Come qualsiasi altra categoria, e quindi…

Pensi che la cultura ne abbia tratto beneficio o sia stata ulteriormente deprezzata?

Ne ha tratto beneficio, mai come in questo periodo se ne è parlato.

I deprezzati, nel vero senso della parola, siamo noi che ci occupiamo di cultura. Quando affronti l’argomento “paga” dall’altra parte inizia il lamento di Federico che generalmente cessa con la decurtazione ulteriore della paga.

Hai avuto modo di preparati per il dopo?

Sì, mi sto preparando, è questa la novità. E così ho citato anche Dalla.

E’vero che ogni tanto spreco il tempo con relativi sensi di colpa, ma ho pensato parecchio specialmente a un progetto. Ora sono a buon punto per buttarlo giù. Ognuno ha i suoi tempi. I miei sono lunghi, ammetto.

Pensi che dalla sofferenza, dal bisogno, dalla disperazione possano nascere forme diverse di arte, magari con una maggiore profondità etica e sociale?

Diverse non saprei, forse ora c’è una nuova consapevolezza. Abbiamo sperimentato un qualcosa di terribile per la prima volta nella nostra vita, e questo potrebbe aiutare la creatività artistica.

Quando crei hai bisogno di isolamento o ti butti tra le folla, si fa per dire, per trovare ispirazione?

Generalmente i miei momenti migliori sono in macchina quando guido, o quando mi sveglio di notte, in menopausa mi capita spesso. Mi permetto di dare un piccolo consiglio alle giovani donne che si fanno otto, nove ore di sonno filato. Siatene felici, poi non accadrà più.

Cosa vorresti che si facesse per gli artisti in momenti come questi quando sembrano, o forse sono, i più dimenticati?

Non sono molto convinta che gli artisti siano i più dimenticati. Basta fare un giro davanti alla mensa dei poveri del Pane Quotidiano. Da quando è iniziata la pandemia le file si solo allungate all’infinito. Non credo ci siano molti artisti lì in mezzo.

Agli artisti validi, o meglio, alle persone valide, proprio in questo momento bisognerebbe dare loro una possibilità. Almeno una. Ne ho piene le scatole di sentir parlare di meritocrazia, oramai una parola vuota.

In questo periodo c’è qualcosa che hai imparato, o apprezzato maggiormente?

No.

Quando tutto finirà, cos’è la prima cosa che farai?

Considerando che mi sono saltati parecchi spettacoli mi piacerebbe riportare in scena la mia vecchia “MAMMA A CARICO -Mia figlia ha novant’anni”

Cos’è la speranza per te?

Quando tutto ti va storto e ti ostini a pensare che potrebbe esserci ancora una possibilità.

E l’arte?

Che sia sempre con noi.

Lascia una parola per il tuo pubblico, i tuoi lettori, i tuoi fan, per chi leggerà questa intervista

Non prendiamoci tanto sul serio. Si può farlo fino ai trenta, al massimo trentacinque. Poi è tempo sprecato e la vita è breve. Ciao bella gente.

Grazie Gianna!

Daria D.

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