“Invincible”: vent’anni fa usciva l’ultimo disco di Michael Jackson

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Quanta curiosità e quante aspettative, in quel lontano 2001, per l’uscita del nuovo disco di Michael Jackson, che aveva lasciato a bocca asciutta i milioni di fan sparsi in tutto il mondo per ben sei anni! Risaliva al 1995, infatti, l’ultimo album di inediti pubblicato, HIStory, a cui aveva fatto seguito nel 1997 Blood on the Dance Floor: HIStory in the Mix, album ibrido che conteneva appena cinque inediti e otto remix di brani tratti da HIStory: un’operazione discografica discutibile quanto deludente, che non poteva certo aver soddisfatto la “fame” di nuove canzoni da parte del pubblico.

Finalmente, a fine ottobre 2001, poco dopo il fatidico “11 settembre”, esce Invincible, disco passato tristemente alla Storia – anche se in quel momento nessuno se lo poteva immaginare – perché è l’ultimo pubblicato in vita da Michael. Purtroppo, si tratta dell’ennesima occasione mancata per un artista che, dopo i fasti di Thriller e la parziale riconferma di Bad, non è più riuscito a ripetersi, imboccando anzi, da Dangerous (1991) in poi, una traiettoria artistica discendente che non ha più vissuto sussulti degni di nota.

Invincible di nome, ma non di fatto, dunque. Un disco penalizzato, innanzitutto, dalla sua prolissità: sedici canzoni e settantasette minuti di durata – ai limiti della capienza del supporto cd – sono davvero troppi, specie se la qualità della musica è altalenante. Una selezione più accurata e severa delle tracce avrebbe senz’altro giovato al disco, alleggerendolo di alcuni pezzi trascurabili e riempitivi. Peccato, perché qua e là Michael piazza alcune perle – le ultime della carriera – che ci ricordano la sua grandezza. La voce, pur con qualche calo sporadico, è ancora all’altezza della situazione.

Sotto il profilo stilistico, l’album alterna il tecno-pop iperprodotto, nervoso, rumoroso e dal cantato “graffiato” tipico del Jackson anni Novanta, ad eleganti ballate r&b e nu soul – ed è qui che si raggiungono i risultati migliori -, oltre a qualche “lento” e all’immancabile “inno per il sociale” da consegnare ai posteri. Insomma, si è cercato di accontentare tutti, ma il risultato finale è stato forse l’opposto…

Appartengono al primo filone stilistico i tre brani iniziali Unbreakable, Heartbreaker e Invincible, che scivolano via senza suscitare alcuna emozione. Poi, poi… arriva Break of Dawn, e finalmente si accende la luce! E’ la prima grande canzone dell’album, una love ballad confezionata con stile, che unisce grazia e grinta; la successiva Heaven Can Wait è degna della precedente, e lascia ben sperare per il seguito… Ma You Rock My World, che pure dovrebbe essere il singolo vincente e la canzone-traino dell’intero album, non incide. Si arriva alla ballata Butterflies, e qui ci troviamo di fronte al picco artistico ed emotivo dell’album, un vero e proprio capolavoro, l’ultimo grande volo di Michael, che fa sognare con un falsetto come non si sentiva da anni, davvero da “FARFALLE NELLO STOMACO”! Magistrale il connubio tra il beat deciso della ritmica e la fragile delicatezza della voce di Michael, un contrasto che, magicamente, diventa armonia. L’estasi è però di breve durata: ci pensa la banale e mielosa Speechless a riportare gli ascoltatori con i piedi per terra, chiudendo sottotono la prima parte del disco.

2000 Watts, come il titolo lascia intuire, è un altro calderone rumoristico pompato a dismisura, che tedia più che intrattenere; per trovare un altro brano degno di rilievo, oltrepassando le inconsistenti melodie di You Are My Life e Don’t Walk Away, e trascurando pure la nuova invettiva contro i tabloid di Privacy, bisogna arrivare a Cry, secondo singolo del disco che, proprio come il precedente You Rock My World, beneficia anche di un video musicale ufficiale. Scritta da R. Kelly (e si sente, specie nel crescendo gospel), vorrebbe essere la nuova Heal the World: pur non riuscendoci, è comunque una canzone che, nella sua linearità, si lascia ascoltare volentieri e che, alla fine, “entra”. The Lost Children, dedicata ai bambini scomparsi, è un altro brano che non lascia traccia, mentre l’incursione latina di Carlos Santana (ovviamente alla chitarra) nella seguente Whatever Happens è l’ultimo momento di rilievo del disco. Si chiude, di nuovo, all’insegna del tecno-pop, con l’ironica Threatened.

Detto della qualità non eccelsa del contenuto, Invincible è stato un insuccesso commerciale anche a causa delle forti tensioni esistenti tra Michael Jackson e la sua casa discografica, la Sony. Quest’ultima, infatti, dopo aver incassato il rifiuto del cantante per il rinnovo del contratto ormai in scadenza, non ha garantito il benché minimo supporto promozionale all’opera, tanto da costringere l’artista a provvedere per conto proprio, inventandosi uno storico quanto inusuale firmacopie al “Virgin Megastore” di New York. Un evento più unico che raro (reperibile su Youtube) in cui Michael, di blu vestito, si mostra inaspettatamente a suo agio e affabile, nonostante il contatto (relativamente) ravvicinato con il pubblico.

Possono bastare cinque canzoni, di cui solo tre irrinunciabili, a giustificare l’acquisto di un album che ne contiene sedici? No, a meno che non ci si rivolga ai  “completisti”, cioè a coloro che desiderano possedere a tutti i costi l’intera discografia del cantante. Per concludere, una chicca per i collezionisti: oltre che con la classica copertina color argento, per un periodo di tempo limitato il disco è uscito anche in edizioni variant colorate di blu, rosso, arancione e verde. Non è difficile immaginare che alcuni le abbiano acquistate tutte…

Francesco Vignaroli

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