Dal 25 al 30 gennaio 2022 al Teatro Vittoria di Roma
Una delle maggiori incidenze negative del COVID 19 è stata, insieme alla perdita di numerose vite umane tanto che pare d’essere arrivati quasi al picco del contagio essendosi registrate martedì scorso ben 462 morti ed avendo toccato gli ospedali il punto limite dei ricoveri nelle terapie intensive per cui molti reparti sono stati riadattati e si sono dovute rinviare altre visite ed operazioni patologiche, per non dire del bambino di 10 anni deceduto a Torino e dei “NO VAX” che si pentono spesso quando non c’è più niente da fare per loro che sono i due terzi dei ricoverati, il blocco del turismo con la comprensibile paura di viaggiare e di dover fare poi lunghe quarantene nei posti da visitare, se non andava peggio. A Roma ben 450 alberghi sono chiusi, le città sono vuote come pure i mezzi di trasporto pubblico, segno evidente che la gente non ha più tanta voglia di mangiare fuori, recarsi al Cinema e Teatro cosicché le sale sono mezze deserte se non è la prima e gli orari sono stati tutti anticipati non solo in quanto ormai siamo nel “tempo della merla”, ma anche per il motivo del timore di girare da soli in luoghi isolati e non essendoci, come prima, la clientela che tirava a fare tardi dopo gli spettacoli, per non voler accennare al rincaro dei prezzi per l’enorme aumento delle bollette energetiche. Da tutte queste considerazioni si può far decollare il copione teatrale di Sergio Maifredi e Giuseppe Cederna che, partendo dal romanzo di viaggio marittimo sugli Oceani di Robert Luis Stevenson “L’isola del Tesoro”, l’hanno rivisitato in chiave personale adattandovi l’esperienza di Cederna stesso in un’isola del Mediterraneo. Si può affermare che con il suo capolavoro l’autore inglese si ricollegasse alla Letteratura di spostamenti e rotte marinare iniziata nel Settecento da D. Defoe e J. Swift in Inghilterra, per desiderio di conoscenza come Ulisse ed esplorazione di terre, etnie e costumi fino ad allora ignorati, al punto che se nel primo romanziere troviamo Robinson Crusoe nel secondo invece vi sono i Lillipuziani e gli uomini cavallo a confrontarsi con il viaggiatore Gulliver, alla maniera dell’erudizione di Candido ad opera di Panglosse muovendosi in Europa nell’opera omonima di Voltaire in nome del principio di tolleranza. Chi non ricorda l’ammutinamento del “Bounty” a Thaiti o “ La tigre di Monpracem” con i testi esotici asiatici ed il protagonista volteggiante sulle liane Tarzan tratteggiato con incomparabile squisitezza lessicale e figurativa dal torinese Salgari, che quei territori se li sarebbe solo finemente immaginati ma mai osservati direttamente? Insomma siamo di fronte ad un onirico divertimento ricreativo mentalmente con lo stupore visionario dei luoghi letti in pagine mirabilmente descritte esteticamente od in una meravigliosa proiezione ad occhi aperti di luoghi dove non avremo il tempo e l’opportunità esistenziale d’andare, pertanto ci vengono in soccorso trasmissioni come “Kilimangiaro”, oppure che rivediamo con piacere avendoci incantato e stregato allorché ci siamo stati, riportandoci immancabili “souvenir” che vengono a formare quelle case – museo su cui successivamente si creano le Fondazioni di celebri uomini illustri. A codeste dotte pagine d’evasione fantastica e distacco dal piatto grigiore quotidiano e monotono di Stevenson s’unisce per antitesi la vicenda autobiografica di Cederna che durante il “ lockdown”, impossibilitato a lavorare e perciò svuotato spiritualmente del dinamismo volitivo ed intellettuale finalizzato ad uno scopo superiore, ha deciso d’isolarsi come un naufrago su un’isola del Mar Egeo in Grecia per riacquistare l’afflato sensitivo, il gusto di vivere e dilettarsi a sognare guardando le suadenti onde blu dalla cui spuma sorse Venere od Afrodite, per conservare la dolce versificazione foscoliana del sonetto “A Zacinto”. Ecco dunque il “ ludus” dei reciproci rimandi intrecciati e Cederna tiene elegantemente il palcoscenico del Vittoria raccontandoci con squillante dizione narrativa nel suo monologo storie di vagheggiate giornate di mare, di capitani di fregata o vascello, di mozzi come Jim Hawkins che poi ribellandosi ai “Nostromi” ed ammiragli, “lupi di mare”, diventano padroni dell’imbarcazioni o dei “ cacicchi” finendo per scontrarsi con altri mitologici ed inventati, leggendari, pirati che dovevano essere uccisi a differenza dei corsari, che ricevevano il brevetto dagli Stati Assoluti nel’ 500 per ridurre le flotte degli altri Paesi nelle “ guerre di corsa” sugli Oceani, come avrebbe poi fatto la Regina Elisabetta I nel Seicento con “ L’Invincibile Armata” spagnola di Filippo II, che l’aveva chiesta in moglie ricevendone un secco rifiuto. L’amarezza di Cederna impersona quella di un attore, similmente a tutto quel mondo culturale che, impegnato nelle prove ed allestimento d’uno spettacolo, aveva visto venir meno per le decisioni di cautela sanitaria con le relative chiusure negli ultimi due anni le date delle serate già stabilite. Disilluso e svuotato dell’entusiasmo del suo lavoro, privato dei normali proventi con cui vivere, aveva deciso di partire per la Grecia contando sull’affinità elettive, il calore temperamentale e solidale della nazione di Omero e sulla possibilità di rigenerarsi lavorando come contadino la terra feconda di viti ed ulivi, secondo la tipica dieta mediterranea dell’Europa del Sud. Lì l’avrebbero scoperto dopo quasi tre anni alla guisa d’un naufrago, in maniera analoga al ritrovamento nella foresta giapponese d’un soldato nipponico che, dopo quarant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, credeva che il conflitto sul Pacifico fosse ancora in atto e se ne stava nascosto. Il testo iperrealistico, di cui Maifredi medesimo firma la regia psicologica, sarà recitato dall’estroso Cederna fino a domenica prossima ed eli è meritevole d’elogio per la perfetta scansione fonetica d’ un affastellamento d’immagini riprodotte in noi dal modo che le percepiamo sensitivamente.
Giancarlo Lungarini